Più di diecimila enti o aziende pubbliche o di rilevanza pubblica non rispettano i livelli essenziali delle prestazioni che servono per godere pienamente dei diritti civili e sociali.
Si va da colossi che trasportano ogni giorno milioni di persone, come l’ATAC di Roma e l’ATM di Milano, a gestori di servizi che ci schedano e accedono ai nostri conti bancari, come ENEL o Trenitalia.
Forse solo in questi termini enfatici, si comprende la sostanza della missione affidata al cosentino Giuseppe Naccarato, alla potentina Caterina Policaro, al pescarese Tommaso Spagnoli, al foggiano Salvatore Severo, alla sassarese Serena Orizi, al beneventano Giovanni Caturano, alla siracusana Viviana Cannizzo e agli altri 95 campioni digitali sparsi in tutta Italia.
Sono giovani e meno giovani che, in settori diversi, già sperimentano cose nuove e un diverso modo di impegnarsi per migliorare la propra comunità.
L’idea del nuovo responsabile italiano dell’Agenda Digitale Europea, Riccardo Luna, è di armare un esercito di 8.057 agit-prop dell’innovazione, uno per ogni comune italiano.
Il compito è di fare quello che fanno «ogni giorno da tempo», come ha scritto lo stesso Luna ai primi 102, convocati a Roma la settimana scorsa per dar vita all’Associazione Digitali Senza Frontiere. Solo che devono cominciare a farlo svolgendo la loro missione in modo più attivo e riconoscibile in ogni comunità: difendere il diritto di ciascuno al wi-fi e alla banda larga, discrimine democratico ormai decisivo; promuovere progetti di alfabetizzazione digitale che coinvolgano anche i nonni; essere pronto soccorso gratuito e volontario per gli amministratori pubblici.
Ecco, quest’ultima missione sarà sicuramente la più difficile e stimolante.
Difficile perché, come dimostrano i dati sui diecimila e passa renitenti alle regole ribadite nella Legge di riforma della Pubblica Amministrazione, approvata ad agosto scorso, il dominio del magazzino di dati e informazioni è una questione di potere vero.
Stimolante perché ci sono tanti inconsapevoli agenti dell’innovazione, sparsi anche nella vituperata sfera pubblica, che vorrebbero davvero si utilizzassero solo canali e servizi telematici per presentare denunce e istanze, per eseguire versamenti, per chiedere attestazioni e certificazioni.
E vorrebbero concentrarsi sulle tante cose importanti che, specie a livello locale, occorre reimperare a fare, ripristinando e sburocratizzando una relazione di comunità.
Di spazio ce n’è.
Basta misurarlo proprio sulle statistiche con cui, nel riaprire i termini fino al prossimo 30 novembre, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha richiamato le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative, le aziende e le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità Montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio e loro associazioni, tutti gli Enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a trasmettere le loro basi dati, ricordando che «si tratta di informazioni che non servono solo per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, ma sono necessarie alla realizzazione di un catalogo nazionale che consenta alle pubbliche amministrazioni di comunicare tra loro attraverso la messa a disposizione a titolo gratuito degli accessi alle proprie basi di dati mediante la cooperazione applicativa».
In Campania, gli inadempienti sono 1.196, in Sicilia 789, in Calabria 637, in Puglia 657, in Abruzzo 295, in Sardegna 288, in Molise (dove un digital champion ancora manca) 177 e in Basilicata 175.
Sarebbe magnifico se i maggiori progressi dell’agenda digitale cominciassero da Sud, dimostrando che, nei numeri dove transita il flusso delle informazioni, c’è la possibilità di riequilibrare rapporti di forza e di influenza.
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