Chi non ha sofferto a scuola di ansia pre-interrogazione o pre-verifica? Quest’ansia, tuttavia, non ha minimamente sfiorato i ragazzi di un paio di terze del liceo scientifico Galileo Ferraris di Varese.
La loro professoressa, Liliana P. insegnante precaria di matematica e fisica, non riteneva affatto necessario valutare i suoi alunni attraverso interrogazioni o compiti in classe perché, come assicurava a genitori e preside perplessi, “io non ho bisogno di interrogare. La mia valutazione si basa sul livello di attenzione degli studenti. Su come si comportano e si applicano in classe. E poi non ho finito il programma”.
Il caso, raccontato da La Stampa, ha fatto il giro dei media soprattutto perché, alla mancanza di verifiche orali o scritte, corrispondeva un giudizio assai magnanimo: un bel 9 in pagella per tutti a fine anno, tranne che per uno studente al quale era stato attribuito, invece, un 8 e mezzo di cui nessuno conosce i motivi.
L’episodio fa riferimento all’anno scolastico 2014-2015. La giustificazione data circa i suoi parametri di valutazione non aveva convinto nessuno, tantomeno i carabinieri ai quali era arrivata una denuncia per falso in atto pubblico che l’ha portata direttamente a processo a Varese.
“Quando ci siamo accorti – chiosa il professor Giuseppe Carcano, preside del rinomato istituto – che la verifica finale del 23 maggio 2015 non era stata fatta siamo stati costretti a intervenire. Sul registro aveva segnato 9 a tutti gli studenti meno che a uno. Ma non c’erano compiti a supportare il voto. Una cosa troppo macroscopica”.
Il curriculum della professoressa lasciava intendere che non avrebbe avuto alcun problema ad equiparare il livello qualitativo degli altri insegnanti del liceo: laurea, svariate cattedre supplenti a Mantova, a Sondrio, a Gallarate, in Toscana, ma mai nella sua Basilicata, la terra dove era nata 40 anni prima.
Probabilmente proprio la nostalgia della sua regione, mescolata alla delusione di non potervi far ritorno per l’ennesima volta, l’ha resa così distante dalla voglia di fare il suo dovere. “Diciamo che era una insegnante inadeguata. Si vede che non era il suo mestiere. Mio figlio come tutti all’inizio era entusiasta. Poi sono arrivati i primi dubbi”, racconta una delle mamme dei 50 ragazzi ai quali era stato attribuito il 9 a fine anno. “Ogni tanto ci interrogava. Qualche volta ci faceva fare i compiti in classe. A casa mai e poi mai. Più spesso facevamo ricreazione”, ricorda invece suo figlio.
A farne le spese sono stati proprio i ragazzi che, dopo l’euforia del 9 a fine anno, hanno dovuto colmare importanti lacune per andare avanti e arrivare alla maturità. “Quando ci siamo accorti che c’erano problemi nella didattica – ha aggiunto il preside – siamo intervenuti con appositi corsi di sostegno. Dall’anno dopo ovviamente è cambiato l’insegnante. A quella classe è stato dato uno dei migliori”.
L’Avvocatura dello Stato non ha ritenuto di costituirsi parte civile. La professoressa Liliana P. è fuori dal circuito dell’insegnamento e rischia fino a 6 anni di carcere con probabili ripercussioni sulla idoneità.
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