Ricordo che un amico, più di trent’anni fa, mi raccontò con fare divertito di un prete di un paese del Sud. Tale prete, in epoca ancor precedente, consigliava ai parrocchiani più fragili socialmente, di votare il Partito Repubblicano.
Tali persone opponevano verbalmente che il papa voleva che si votasse “croce su croce”, ovvero la Democrazia Cristiana, ritenuta in tali ambiti sociali: il partito di Dio. Quindi chiedevano al prete, cosa fosse successo a Roma. E lui rassicurava dicendo, secondo il mio amico, che le cose erano cambiate e che c’erano nuove indicazioni.
Ovviamente il prelato faceva proseliti – al netto delle promesse – solo nell’ambito di vecchine sole e credule, ma ciò bastava a suo nipote per essere eletto ad oltranza consigliere comunale.
Ho raccontato questa storia per far capire, non la forza della Chiesa, ma la forza che gli uomini di Chiesa avevano al Sud. Una potenza spropositata che veniva spesa su un territorio secolarizzato, ma ancora preda di una religione prossima agli antichi riti pagani di un popolo lontano dalla civiltà, perché incluso in aree inaccessibili.
Ora questa vis è solo materia storica, ma rimane la potenza di un entità morale che ha la facoltà di parlare all’anima dell’individuo, riuscendo ad indirizzare alcuni pensieri. In tal virtù ci si chiede: quanto può fare la Chiesa nei territori vittima delle mafie del Sud?
Nella dialettica del dibattito collettivo che si sta sviluppando sul Meridione, quantificare il peso che la religione può avere sul comportamento delle persone, è importante.
Il Sud ha problemi culturali, oltre a quelli economici, che si uniscono ad i disagi di un territorio fisicamente difficile. E quando dico culturali, mi riferisco ai comportamenti figli di una condizione storica fatta di sopraffazioni e di conquistatori, conquistatori che non potevano amare il loro bottino, tantomeno il loro protettorato.
Il cittadino del Sud paga ancora queste vessazioni, che hanno lasciato tracce di diffidenza che si proiettano sul potere centrale. Sono a volte dei riflessi della ragione impercettibili, oppure idee caduche, o idee relativamente inficianti, sino ad arrivare a convinzioni o convinzioni strutturali, ove proliferano le mafie.
Perché non dimentichiamo che il comportamento mafioso nasce nella mente, e prosegue il suo percorso sino a diventare un manifesto di vita. Una scelta.
La religione è un potente strumento per stroncare tale proliferazione o ammortizzarla. La scuola puó interagire, ma non ha il potere di costituire una barriera invalicabile, perché non dispone dell’ammenda del peccato. Concetto che rode l’anima fino a diventare sul finir della vita, insopportabile.
La Chiesa, dunque, tramite la parola dei propri preti, può svolgere un ruolo vitale per il Sud. E l’esempio degli “inchini” nelle processioni, venuto alla ribalta solo quest’anno, dimostra quanto ancora sia radicato il paganesimo al Sud, sotto le vesti della religione e quanto sia importante per le mafie, appropriarsi di questi simboli.
Lo Stato ha affiancato la Chiesa nel combattere queste manifestazioni di forza profana e la Chiesa ha elevato il proprio monito verso le connivenze di contrada di propri uomini infedeli, o di uomini spaventati, o l’uno e l’altro.
Tale monito ha avuto effetti visibili, ma il fiume carsico dei comportamenti perduranti, non possiamo controllarlo.
Il Sud è terra difficile, perché estesa ed impervia. Quando pensiamo ad esso, non dobbiamo focalizzarci sulle città, sulla costa, sui centri topici della sua storia, ma dobbiamo inerpicarci per le centinaia di chilometri di Appennini. Li’ si gioca una parte importante della sfida. Sia sociale che economica, che poi sono collegate. I tarli della retrocultura si annidano dove è più arduo il cammino fisico.
Il Sud è terra complessa, per questo quando vedo dibattere di Meridione gente che non conosce questa articolata storia, proponendo soluzioni stereotipate, sorrido amaramente.
Quattordici milioni di vite, vivono in un contesto che si modula e rimodula, in virtù del sole che lo illumina.