In mezzo alla mafia Giovanna Galatolo è nata e cresciuta. Suo padre Enzo, boss dell’Acquasanta, è stato condannato all’ergastolo per l’uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa. I Galatolo, una delle famiglie più potenti di Cosa nostra negli anni Ottanta e Novanta, controllavano i traffici nel porto di Palermo e gli appalti nel Cantiere navale.
Da quando ha deciso di parlare con i pm, a ottobre scorso, Giovanna Galatolo di Cosa nostra non vuole più saperne nulla. Lo ha detto chiaro e tondo anche questa mattina, deponendo per la prima volta in un processo: quello a carico di Angelo Galatolo, cugino di Giovanna, accusato di associazione mafiosa, e di Franco Mineo, ex deputato regionale di Grande Sud, accusato di intestazione fittizia di beni aggravata, peculato, malversazione e usura.
“Non voglio più stare nella mafia. Perché ci dovrei stare? Solo perché mio padre è mafioso? No, non ci sto. Non voglio stare nell’ambito criminale – ha spiegato al pm Piero Padova – Né voglio trattare con persone indegne. Adesso che collaboro mi vogliono fare passare per prostituta. Io voglio dedicarmi solo alla mia bambina“. Proprio per dare un futuro migliore alla figlia, la pentita avrebbe lasciato il marito e la casa all’Acquasanta. In quella palazzina, dove viveva tutta la famiglia, continuava a comandare il “Tripolitano“, e cioè Enzo Galatolo. “Mio padre amministrava gli affari dal carcere – ha spiegato la collaboratrice -. Attraverso segni convenzionali ci diceva cosa dovevamo fare. Impartiva le sue direttive durante i colloqui. Faceva pure telefonate dal carcere per parlare con i suoi familiari. Vivevamo tutti nello stesso palazzo, quindi bastava parlare con uno per parlare con tutti“.
Non mancavano gli accordi con quelli che Giovanna Galatolo chiama “sindacalisti” che sarebbero i politici. Come ha raccontato ai pm, nel verbale del 29 ottobre scorso, “vent’anni fa ci hanno obbligato a votare Berlusconi per esempio. Mio padre ha obbligato tutta la famiglia, doveva… doveva salire Berlusconi, hanno messo anche le strisce allo stadio, grande famiglia con… insomma glielo hanno ordinato ai ragazzi di farlo“. Adesso “per gestire le attività della famiglia spesso si ricorre a prestanome“, ha spiegato in aula. “Mi ricordo – ha puntualizzato – di un certo Mineo, un sindacalista, amico di Angelo Galatolo, il figlio di Gaetano“. Nel primo interrogatorio, a ottobre, la collaboratrice non aveva riconosciuto in foto Franco Mineo. “Ho visto passeggiare due volte Angelo con questo signore – ha spiegato – me lo sono ricordato dopo. So che sono ottimi amici, si sono messi insieme come società, come prestanome. Mi è stato chiesto pure di votare per Mineo, prima da Giovanni Galatolo, fratello di Angelo, poi anche Stefano Galatolo lo chiese a mio marito“.
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