Perché un nodo del problema sorge quando la chiesa rinuncia alla sua libertà morale e preferisce narcotizzare la sua coscienza critica, in cambio del piatto di lenticchie allungato dal potere.
Leggetela questa lettera.
Riprende l’affaire di Bisceglie e di Azzollini, da un altro lato meno esplorato ma non meno evidente.
E’ intrisa più di amarezza che di nostalgia.
“Caro Guglielmo,
una nota della diocesi sulla vicenda “don Uva” parla di notizie tendenziose che suscitano deduzioni gratuite che offendono la figura di Mons Martella.
Si trascura così anche il fatto che egli è stato nominato Commissario Apostolico della Congregazione delle Ancelle della Divina Provvidenza proprio per promuovere la corretta gestione delle risorse, il bene dei lavoratori, l’organizzazione delle attività apostoliche dell’Istituto religioso.
Giusto.
Ma mi chiedo come è possibile che il Vescovo non abbia nulla da dire sui numerosissimi reati nell’ambito del crack dell’Ente Ecclesiastico di cui è Commissario Apostolico?
Io non accetto l’inquinamento linguistico, perché parole sacre sono state rapportate a condotte scandalose.
“Ora pro nobis” è diventata “oro pro nobis”.
E qual è la via che ha portato a questo svuotamento semantico di termini come apostolico, provvidenza, ancelle?
Ti sei accorto che a Molfetta vi è stato un progressivo potenziamento di manifestazioni religiose ritualistiche?
Hai letto dei restauri glorificati dal Vescovo con una standing ovation del senatore Azzollini per averli finanziati?
Che ne dici del giornale diocesano “Luce e Vita” che ha, invece, trattato in modo ultrasoft la questione dello scandalo del porto, soprattutto con l’invito ad evitare il clamore mediatico?
Sai che se qualcuno osa fare delle considerazioni critiche, viene aggredito con la più malevola denigrazione clericale, quella ad personam, scansando l’argomento?
Tu lo sai.
E sai pure molto bene il giro di vocaboli e il balbettio striminzito dei vertici della chiesa locale sul lungo degrado della città (scandali edilizi, morti sospette, malavitosità crescente, disagio minorile) in un quindicennio in cui gli attori principali della diocesi, Vescovo e Senatore, l’hanno rappresentata.
Sia ben chiaro.
Il Vescovo, e neanche il Senatore, non si è arricchito.
Ma è il suo stile debole, chiamiamolo così, a rappresentare un atto di distanza enorme da papa Francesco che ha autorizzato lo IOR a rispondere alle rogatorie.
Solo questa chiarezza ha prodotto un’evidenza sconcertante.
Con un comportamento problematico è stato svenduto non solo un patrimonio di risorse economiche ma pure un’eredità di parole rese azioni coerenti da don Tonino: pace, solidarietà, giustizia, carità, apertura verso i non credenti, povertà, trasparenza, servizio.
Lazzaro Gigante”.
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