Il 21 marzo è la giornata mondiale della poesia; forse per questo comincia la primavera. E come si insegna la letteratura, la poesia, nelle nostre scuole? Pochi giorni fa ne hanno discusso a Milano, nel liceo Virgilio, «alcuni dei più importanti studiosi di letteratura», narra l’Avvenire, «autori di manuali destinati alla scuola secondaria». Si tratta di Romano Luperini, Guido Baldi, Remo Ceserani, Giulio Ferroni.
Il livello delle osservazioni rivela la loro competenza. A partire da come fu impostato, in Italia, l’insegnamento letterario, dal capostipite, Francesco De Sanctis (che guidò l’epurazione dopo l’Unità, dei docenti sospetti di poca simpatia per il nuovo re): una «catena tra letteratura, storia patria e identità nazionale» (Luperini).
Insomma, usare i poeti per formare buoni italiani. Mentre nel mondo globalizzato «non si può più pensare che la letteratura equivalga alla letteratura italiana. Va superato il paradigma italocentrico ed eurocentrico» (Ceserani).
Però, l’elenco dei 24 autori fondamentali indicati dal ministero (allora guidato da Maria Stella Gelmini; e non modificato dai degni successori), di stranieri ne include «uno soltanto, quasi messo lì per caso: Baudelaire» (Luperini).
Ed è stato pure notato che, nell’elenco ministeriale, ci sono solo maschi e una sola donna, Elsa Morante, a ricordarci che il genere umano ha almeno due sessi. Come si fa a non condividere idee così aperte di esperti di tale livello? Che differenza da quanto appena successo in Alabama (Usa), dove il governatore, John False, ha escluso tutti i poe- ti neri dai programmi di studio della letteratura americana: «Erano nostri schiavi e ora dovremmo imparare le loro poesie?», ha detto. E in Francia? Paese della civile Euro- pa, maestra di cultura nel mondo, ha eliminato gli autori marsigliesi e corsi dai libri di scuola.
«Sono italiani, non francesi», secondo il sottosegretario Jean Pasvrai. Siete indignati? State per protestare con “post” sulle pagine Facebook delle ambasciate francese e statunitense? Beh, non fatelo, perché non è vero. Mentre l’Avvenire non riferisce alcun commento di quegl’importanti autori di testi di letteratura italiana, sull’esclusione di tutti gli scrittori e i poe- ti meridionali dalle indicazioni del Ministero per l’insegnamento della materia nei licei. Non uno, per tutto il Novecento, il seco- lo più fertile.
Questa vergogna dura da quattro anni. Anche se proprio uno di quegli esperti, Ferroni, dice: «Il primo confronto che va condotto per aprirci al mondo» dovrebbe essere «con quanto è stato prodotto nel nostro Paese». Confronto da cui il ministero ha escluso poeti e scrittori meridionali. Cancellati, se terroni, pure i premi Nobel per la letteratura: Salvatore Quasimodo, Grazia Deledda.
È stato autorevolmente detto (Asor Rosa) che non si può capire la nostra produzione del secolo scorso, senza quel siciliano, Elio Vittorini, che tanto la influenzò. Giusto per avere idea del danno. Furono intellettuali irpini del Centro di Documentazione sulla poesia del Sud ad accorgersi di questa porcheria. Paolo Saggese e Peppino Iuliano mi spiegarono che la poesia terrona era già cenerentola in antologie e storie della letteratura del Novecento: «Solo il dieci per cento degli autori citati è nato a Sud di Roma». Troppo: la Gelmini provvide a eliminarli del tutto. Le indicazioni per il curricolo sono le istruzioni che il Ministero dà a professori e case editrici scolastiche su come impostare lo studio delle varie discipline.
I professori possono andar oltre le disposizioni, inserendo altri autori (persino meridionali). Ma la psicologia sociale avverte che dinanzi al verbo dell’autorità, quattro su cinque si adeguano e uno solo (forse) tenta qualche iniziativa. Quindi, per scempio ministeriale, i nostri studenti, da quattro anni, apprendono che in un intero e fertilissimo secolo nessun terrone scrisse un verso, una pagina degni di essere ricordati.
Non ci volevo credere. Riportai, in un capitolo di «Giù al Sud» («I poeti estinti»), il documento di Saggese, Iuliano e altri del Centro per la poesia del Sud (Alessandro Di Napoli, Alfonso Nannariello, Franca Molinaro, Alfonso Attilio Faia, Raffaele Stella, Salvatore Salvatore) sulla gelminiana fatwa contro l’anima meridionale. Alcuni di loro scrissero un libro, «Faremo un giorno una carta poetica del Sud. Restituiamo la letteratura meridionale ai Licei», con prefazione del figlio di Quasimodo, Alessandro.
Le Regioni Campania, Calabria, Lucania, Molise protestarono con il Ministero. Molti intellettuali e uomini politici firmarono una richiesta di revisione delle “indicazioni”; sono state presentate quattro interrogazioni parlamentari in due anni.
Ma poeti e autori meridionali restano fuori, pur passando da una ministra forzista d’anima leghista, la bresciana Gelmini, a un “tecnico”, con il governo Monti, l’ingegnere ligure Francesco Profumo (progettò l’Italia dell’Istruzione tripartita: Nord, Centro, Sud), a Maria Chiara Carrozza, Pd, rettore della Sant’Anna, pisana (suo il decreto ammazza-università del Sud).
Secondo alcuni, la cancellazione dei poeti terroni è frutto solo di ignoranza. Ma gli ignoranti non possono restare al ministero dell’Istruzione: cacciarli, subito (invece, qualcuno è stato promosso).
Però, considerata l’unità e la continuità di azione contro cultura e scuole del Sud, pur cambiando i ministri, temo sia volontà politica. E nella giornata mondiale della poesia, nei nostri licei, i cantori dell’anima meridiana sono ancora clandestini. A meno che insegnanti liberi e coraggiosi li tirino fuori dalle catacombe e li facciano conoscere agli studenti.
Ora c’è un nuovo ministro, Stefania Giannini. Se pensa che i nostri liceali debbano sapere di Quasimodo, Deledda, Bodini, Alvaro, Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Ortese, Vittorini, Gatto, Scotellaro, Sinisgalli, de Libero, Pierro, Silone, Marotta, Bufalino… sa cosa deve fare. Altrimenti, sul muro della vergogna, accanto ai nomi dei suoi predecessori, c’è posto per il suo.
(intervento pubblicato su Il Mattino)