Le classi dirigenti del nostro Paese, in passato, tutte le volte che si trovavano un totem ideologico lungo il cammino delle riforme, non lo abbattevano, si limitavano a scansarlo. E poco importava se questa evasione lasciava i problemi intatti e impediva di fare le cose utili, ciò che serviva ai cittadini. Ciò che contava era la sopravvivenza. Si preferiva non toccare nulla pur di sopravvivere. Su queste “ideologie“, fior di politici, sindacalisti, esponenti della società civile, hanno costruito le proprie fortune, impedendo al Paese di essere riformato. Penso alla giustizia, alla legge elettorale, alle riforme istituzionali, alla scuola, all’articolo 18. C’era sempre uno pronto ad alzare il ditino per dirti: “questo non si può fare”.
Il governo Renzi ha “laicizzato” il dibattito. Ha reso possibile, tutto ciò che appariva impossibile. Si può condividere o no, ma non si può criminalizzare chi la pensa diversamente. Ciò che è utile si fa, a prescindere dalla deriva ideologica. Naturalmente le riforme fatte sono ispirate da un’idea moderna di sinistra, schematizzata al massimo con una frase del premier: “l’unica cosa di sinistra che non ho fatto è perdere“.
Ma tutto si è fermato a Reggio. I vizi della specialità prevalgono sulle virtù dell’autonomia. Sarà per lo statuto, sarà che c’è un governo regionale nato ai tempi della segreteria Bersani: qui, tutto funziona come prima. Poco conta se il Paese corre e la Sicilia va indietro. Qui i totem vanno eretti, non abbattuti.
In Sicilia, la sinistra continua ad essere schiava delle ideologie. E questa schiavitù penalizza terribilmente la qualità del governo e l’intensità delle riforme. In campagna elettorale la parola d’ordine di Crocetta è stata ‘rivoluzione‘. In passato le rivoluzioni si sono fatte in nome di ideologie che hanno scatenato inutili guerre e hanno quasi sempre prodotto cambiamenti. Credo che si sia abusato della parola rivoluzione, in più, l’ideologia, che è servita da motore e catalizzatore, nella rivoluzione in salsa sicula, è servita per tenere tutto fermo, per ingolfare ogni tipo di cambiamento. Due esempi, l’acqua e i rifiuti.
In Sicilia l’acqua è pubblica e lo sanno pure le pietre. Issare questo vessillo è però servito ad evitare che si affrontassero i veri nodi di un sistema che funziona nel resto del Paese. In tutti gli stati europei e in tutte le regioni italiane, viene data la possibilità ad ogni amministratore, di decidere liberamente come gestire l’acqua. Uniche condizioni poste, che i cittadini paghino il giusto e che il servizio sia efficiente. Se così non è, che il gestore sia pubblico o sia privato, si manda a casa a pedate. In regione si è pensato invece di mettere su un “Soviet”, per gestire il servizio. Se sbaglia il privato, tutti addosso. Sbaglia il pubblico? “Pazienza“. Affidamenti di nove anni. Chi è il pazzo che decide di investire milioni di euro, sapendo che dopo nove anni il servizio sarà messo un’altra volta a gara?
La tariffa deve essere unica per tutti i siciliani, in legge è stato scritto “tendenzialmente unica“. I cittadini non dovrebbero pagare di più o di meno l’acqua a seconda che abitino più o meno vicino alla fonte d’acqua. La differenza, semmai, dovrebbe essere data dal reddito, le agevolazioni o le esenzioni le costruisco su quello. Mi sembra molto più di sinistra questo concetto, che tanti proclami inutili sull’acqua pubblica. Tariffa unica, ambito unico. Basta con il proliferare di poltrone e burocrazia. Io avrei optato per una soluzione più coraggiosa: un solo ambito e non nove.
Un solo gestore per sub-ambito e non 390 gestori, quanti sono i comuni siciliani. I sub-ambiti gestionali avrebbero dovuto essere delimitati per perseguire le economie di scala e non gli interessi particolari. Gli investimenti reali e la gestione efficiente possono essere garantiti soltanto così. La realizzazione di infrastrutture va programmata e non vanno sperperati i soldi pubblici.
Le delimitazioni per la realizzazione degli “ambiti ottimali” si realizza partendo dai bacini idrografici e dai movimenti naturali dell’acqua. Curioso che invece si siano costruiti i confini attraverso criteri burocratico-amministrativi. Ancora più curioso quando questi confini sono costruiti sulle vecchie province, che sono state sciolte la settimana prima, con legge regionale. Come si vede, dietro il totem dell’acqua pubblica, nulla è cambiato veramente e le questioni vere, quelle che interessano i cittadini, sono rimaste tutte sul tappeto.
Stessa cosa sui rifiuti. La Sicilia è stata diffidata dal governo nazionale e sarà eventualmente commissariata, perché in infrazione europea, perché è solo al 9% per raccolta differenziata – dovrebbe essere al 65% – perché non ci sono impianti alternativi alle discariche, ormai sature, perché i cumuli di rifiuti sono alti metri e i turisti fanno più foto a quelli che ai monumenti, perché sono più le poltrone negli Ato che gli spazzini, perché i debiti sono alle stelle e perché i cittadini, per un servizio che non funzione, pagano le tariffe più alte d’Italia. Invece di discutere e capire come affrontare le questioni, si tira in mezzo lo scontro ideologico sugli inceneritori che ormai sono il trapassato. La vera vergogna è portare tutto in discarica o proporre come unica alternativa, dopo quasi tre anni di governo, le compostiere domestiche. Nessuno ha parlato di inceneritori nel provvedimento del governo Renzi. C’è una programmazione nazionale – finalmente, direi – e si citano testualmente “impianti di recupero energetico“, basati su moderne tecnologie a zero emissioni. Naturalmente questi, nella bocca di chi vuole che nulla cambi, diventano “vecchi inceneritori“.
In Sicilia esiste un kit usato frequentemente da tutti i conservatori, principalmente a sinistra, siano essi giornalisti, politici, sindacalisti o esponenti della società civile. Il kit prevede l’utilizzo di alcune parole chiave da affiancare alle parole tematiche (abbiamo visto inceneritori per i rifiuti, acqua pubblica per l’acqua), le parole sono: affari, mafia, Cuffaro. Esistono sicuramente i temi del malaffare e dell’infiltrazione mafiosa, ma si affrontino con i controlli e i dovuti anticorpi, non con la retorica. Spesso sono il pretesto chi realmente vuol fare affari e magari tutela interessi poco trasparenti e dallo status quo trae vantaggio. E poi Cuffaro, evocato in Sicilia; come, dal ’94, la “gioiosa macchina da guerra” ha evocato Berlusconi. Forse sarebbe l’ora di immaginare un modello di sviluppo serio e coraggioso per l’Isola, invece di agitare spettri che impediscono di costruire idee per il presente e il futuro. Forse sarebbe il caso di parlare davvero di Sicilia.
(Intervento pubblicato su Live Sicilia)