Un patto scellerato, un “accordo corruttivo di allarmante offensività“. Accordo che ha portato ad una nuova ordinanza agli arresti domiciliari per il giudice Giancarlo Giusti, che già si trovava ristretto nell’abitazione della sorella dopo la condanna a 4 anni subita a Milano per i suoi presunti rapporti con la cosca Lampada. Domiciliari ai quali Giusti, sospeso dal Csm dopo l’arresto disposto dalla magistratura milanese, si trovava dal 29 ottobre 2012. Da quando, cioè, un perito nominato dal gip di Milano aveva stabilito che nel carcere di Opera non poteva ricevere le cure psichiatriche di cui aveva bisogno dopo il suicidio tentato all’indomani della condanna.
Adesso un nuovo macigno si abbatte sull’ex giudice. Ancora più gravi le accuse mosse dai magistrati della Dda di Catanzaro: avere intascato 120mila euro per scarcerare tre elementi di spicco della cosca Bellocco di Rosarno, una delle più potenti di tutta la Calabria. Corruzione in atti giudiziari, aggravata dall’avere favorito una cosca di ‘ndrangheta, e concorso esterno in associazione mafiosa i reati ora contestati a Giusti e, a vario titolo, ad altre sei persone: il boss Rocco Bellocco (62enne), già detenuto per altra causa; Rocco Gaetano Gallo (61), già ai domiciliari sempre per altra causa; Domenico Punturiero (49); Domenico Bellocco (34), figlio di Rocco; Giuseppe Gallo (30), figlio di Rocco, e Gaetano Gallo (60), fratello di Rocco Gaetano.
La nuova operazione “Abbraccio“ nasce da un’indagine condotta dagli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria, che hanno spulciato e riletto centinaia e centinaia di intercettazioni ambientali e telefoniche giungendo ad un quadro indiziario ritenuto più che sufficiente dalla Dda catanzarese per chiedere gli arresti. Un insieme di elementi che portano gli inquirenti ad affermare che Giusti, il 27 agosto 2009, in qualità di componente relatore del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, ha disposto la scarcerazione di Rocco Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco (37), detto “Micu ‘u Lungo“, in cambio di 120mila euro.
Secondo l’accusa, il patto era stato ordito da Rocco Bellocco ed eseguito dal figlio Domenico, da Rocco Gaetano e da Giuseppe e Gaetano Gallo, con l’intermediazione di Punturiero e la partecipazione di Giusti. Accordo che sarebbe stato siglato nell’estate del 2009, quando Giuseppe e Gaetano Gallo avevano avvicinato Punturiero, mentre Domenico Bellocco, per ordine del padre Rocco, aveva consegnato allo stesso Punturiero una parte del danaro, 40mila euro, necessario per la corruzione.
“Il ruolo centrale assunto da Punturiero e da Giusti – scrive il gip – è rivelato“, tra l’altro, “dal chiaro ed esplicito tenore delle conversazioni intercettate e dall’indiscussa, amicale e affaristica frequentazione tra i due“, che anche il giorno dell’udienza si sentirono telefonicamente 12 volte. Ma c’è di più. Agli atti c’è una telefonata tra Giusti e la sorella in cui l’allora giudice, dopo avere avuto la notifica dell’avvio di un procedimento disciplinare del Csm sulla base anche dell’inchiesta della Dda di Catanzaro, dice: “è finita per me, guarda che vengono di notte e mi prendono… è finita“. Telefonata che il gip di Catanzaro legge come “una sorta di lunga e sofferta confessione stragiudiziale di Giusti“.
Lascia un commento