Il 16 maggio 2013 saranno trascorsi 1500 giorni dal sisma che distrusse la mia città, L’Aquila, e mi andrebbe di scrivere qualcosa, ma non so da dove cominciare.
Magari è meglio dare subito qualche numero: 12249 persone si trovano alloggiate nelle cosiddette new towns, 2532 alloggiano in moduli abitativi provvisori, 6646 persone percepiscono il contributo di autonoma sistemazione, 143 sono in strutture ricettive sia dentro che fuori provincia, 231 in affitto concordato e 116 si trovano all’interno della Caserma della Guardia di Finanza, quella del G8.
Insomma 21987 persone sono sfollate, sì, perché si dice così. Sono sfollate perché non hanno ancora il loro alloggio. Poi ci sarebbe da dire che molte scuole sono nei MUSP (moduli ad uso scolastico provvisori) e che le chiese sono MEP (moduli provvisori) e alcune farmacie nei container, così come alcune mense universitarie e reparti ospedalieri.
A quattro anni dal terremoto siamo giunti ad avere più o meno 1.109 disposizioni (leggi e leggine) da seguire per ricostruire il territorio: una ragnatela burocratica inestricabile.
E i numeri della non ricostruzione parlano ancora più chiaro:
I soldi in cassa (al Comune) sono 156 milioni e sono già tutti impegnati. Nel triennio 2013-16 per la ricostruzione privata si avranno (delibera CIPE n.135) 985 milioni, ma i progetti di ricostruzione presentati hanno bisogno di una copertura che supera 1,2 miliardi. In attesa di contributo, infatti, al momento, ci sono ben 1914 progetti (non solo per il centro storico ma anche per le periferie) per un importo complessivo di 612 milioni e la Soprintendenza aspetta 400 milioni per 60 progetti già presentati. Per non contare altre 1500 pratiche trasferite all’ufficio per la Ricostruzione con un importo stimato di 700 milioni.
In realtà per la ricostruzione la cifra necessaria si aggira intorno ai 3 miliardi e mezzo di Euro.
E se non arrivano soldi i cantieri non partono, la città è ferma, l’economia langue, i cittadini stanchi e in procinto di andare via. Le ultime promesse, quelle dell’ex-Ministro Barca, svaniscono, come tutte le altre.
E poi ci sono i se. Se lo stesso zelo e gli stessi soldi per costruire le new-towns si fossero usati per ricostruire …. se avessimo ottenuto la tassa di scopo … se il sindaco si fosse opposto … se le abitazioni provvisorie fossero state più vicine alla città … se non si fosse puntellato anche “l’imputellabile” …se fossimo stati noi cittadini a decidere … se ci fosse stata trasparenza…. se ci avessero allarmato … se potessimo tornare indietro .. se potessimo guardare avanti..
Intanto la primavera scorre e in città l’erba la fa da padrona. L’odore della mia città è indescrivibile, un misto di abbandono e qualcosa che non saprei definire: mentre giri per i vicoli vietati puoi essere assalito da una ventata gelida che porta con sé odore di morte, o da un tiepido venticello che sa di tigli e ippocastani. Dipende. Dipende da come ti senti.
Mi hanno detto che durante il primo inverno post-terremoto in centro trovarono tracce di lupi, poi neanche più quelli.
È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo scempio: la statua di una Piazzetta (IX Martiri) è stata divelta. Nella foto la vedete “storta”, era sabato mattina. La notte seguente l’hanno tirata giù.
L’Articolo 9 della costituzione recita:
«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.»
Ma qui sembra vigere persino un’altra costituzione.
Ed un’altra giustizia: ad essere chiamati a processo sono i cittadini che manifestano disagio e non già chi si è curato solo dei propri interessi. Poi se la condanna arriva ad una commissione colpevole di averci rassicurato, allora arriva anche un giudizio sul giudizio: siamo come l’inquisizione.
L’Aquila è ferma, ha paura. Dell’incapacità, delle parole, dei facili guadagni, degli interessi di pochi e del silenzio di tanti.
Ricordo un manifesto apparso all’entrata della città pochi giorni dopo il sisma “L’AQUILA TORNERA’ A VOLARE”: per volare ha bisogno del coraggio di tutti noi. Il coraggio di parlare e di dire come stanno le cose.
Perché si può ricominciare, in un altro modo.