Questa sera in esclusiva assoluta vedremo “Lea”, il film di Marco Tullio Giordana, prodotto da Rai Fiction e Bibi Film Tv, con protagonisti Vanessa Scalera, Linda Caridi e Alessio Praticò.
Tutto ha inizio nel 2002, quando Lea Garofalo decide di denunciare quello che vede: gli omicidi, la droga, la corruzione, oltre che le minacce, la violenza e il sangue versato. Decide di raccontare le faide tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno, Carlo Cosco.
Nel 2009 Lea improvvisamente scompare da Milano, senza lasciare traccia. Pur non avendo raggiunto ancora la maggiore età, sua figlia Denise ha il coraggio di costituirsi parte civile contro il padre al processo. Non sbaglia, ben presto un pentito rivela infatti dove si trova il cadavere della madre. Carlo Cosco, con i suoi complici, viene condannato all’ergastolo. Denise ora vive sotto una rigidissima protezione e sotto falsa identità.
Come tante donne, Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino, sin da piccola; cresciuta in un piccolo paese della Calabria, le viene ucciso prima il padre, poi il fratello, i cugini e gli amici più cari, ma, a differenza dei più, ha quell’irriverenza e quella testardaggine che fanno sì che non si adegui e non accetti il puzzo opprimente della ‘ndrangheta. Inizia così la fuga con la figlia, una fuga disperata, per il terrore di essere trovata, ma anche per la paura di non riuscire a proteggere la piccola Denise, costretta a seguirla in tutti i suoi spostamenti nella ricerca costante della libertà.
Lea Garofalo è una giovane madre che non si è piegata alla mafia calabrese, si è resa scomoda agli occhi di chi invece la voleva custode di un sangue criminale. Lea è la una donna che ha avuto il coraggio di essere testimone in prima persona e di non accettare la realtà che sarebbe stata costretta a vivere; ha delineato un netto confine tra il bene e il male, tra i buoni e i cattivi, con l’impulsività e la fermezza di chi esige libertà e rispetto.
Marco Tullio Giordana torna dietro la macchina da presa, dopo “I cento passi” e “Romanzo di una strage”, per raccontare una storia vera molto dedicata, affrontandola in modo diretto, come solo lui è in grado di fare. Il suo è un racconto crudo ma sincero, riuscendo ancora una volta a descrivere in modo autentico i sentimenti contrastanti di una terra affascinante e terribile, qual è la Calabria. Un film certamente non può far cambiare le cose da un giorno all’altro ma può sicuramente contribuire a cambiare la percezione di una realtà invece drammatica, dove non c’è fiction, in cui i protagonisti scelgono di metterci la faccia, pagando anche con la propria vita se necessario.
In quest’occasione, ho posto qualche domanda ad Alessio Patricò, il quasi trentenne che vestirà i panni di Carlo Cosco, un ruolo non semplice da interpretare ma nel quale Alessio ha dimostrato tutta la sua bravura.
Chi è Alessio Praticò?
E’ un attore di 29 anni, nato a Reggio Calabria che, fin da bambino, ha sempre desiderato fare questo mestiere, ma che, con il tempo, aveva messo questo sogno in un cassetto, chiudendolo. Ha sempre cercato di assecondare questa sua passione, a volte riuscendoci di più, altre volte meno sino ad arrivare alla maggiore età in cui, nel dubbio di scegliere una strada un po’ troppo precaria, ha deciso di iscriversi all’università di architettura. Dopo la laurea, ha ripreso in mano il suo sogno facendo diversi provini per alcune scuole, fino ad arrivare a Genova. Da lì, è iniziato tutto; tanto teatro e anche cinema, diventando milanese nel film “Antonia”, per passare poi dall’altra parte della macchina da presa con il corto “Roghudi”.
Cosa ha fatto scoccare la scintilla per il mestiere che hai scelto?
Non ti saprei dire com’è scoccata la scintilla di preciso, è un qualche cosa che ti viene da dentro e che ti travolge completamente, tanto da portarti ad avere il coraggio di salire su un palcoscenico. Essere attore non è una professione semplicissima perchè ritengo che l’interprete, per calarsi al meglio in un determinato ruolo, debba avere una vasta gamma di conoscenza, oltre che di curiosità. Credo che non ci sia differenza tra cinema e teatro dal punto di vista attoriale, nel senso che penso sia fondamentale essere credibili da entrambe le parti, oltre che emozionare il pubblico, anche se cambia il mezzo.
Questa sera ti vedremo nel film “Lea”, diretto da Marco Tullio Giordana. Per quali motivi hai detto sì a questo progetto?
Ho fatto cinque provini per poter entrare a far parte del cast. Il desiderio di lavorare con Marco Tullio Giordana era grande, ma ancor più grande quello di poter essere un tramite per raccontare la storia di Lea, una storia che ancora ahimè non tutti conoscono. Esattamente 14 anni fa, sono andato al cinema a vedere “I cento passi”e mai avrei pensato che avrei avuto la possibilità di fare un provino con quel regista. Sono in molti a dire che le coincidenze non esistono, ma forse questa è stata un’eccezione, per mia fortuna!
Interpreti Carlo Cosco, ex marito di Lea e mandante del suo omicidio. Come ti preparato per questo ruolo?
Posso dirti che ho letto tutto quello che potevo sulla storia, libri e video, anche sul processo per carpire i movimenti del corpo, il linguaggio e l’atteggiamento di Carlo Cosco. Il cinema è verosimiglianza, ho cercato quindi di non costruirmi schemi precisi, ma di andare d’istinto per avere una percezione più funzionale per quello che stavo per andare a fare. Non ho mai giudicato il personaggio, perchè credo che l’attore debba limitarsi a interpretare. Ho cercato di portare in scena la verità di Carlo che è quella di un uomo che viene prima abbandonato dalla compagna e poi denunciato per ciò che aveva commesso. Quello che spero di aver fatto è stato quello di evitare di mettere in scena lo stereotipo dell’uomo di mafia, anche perchè non esiste un volto che vada a connotare l’essere cattivo o l’essere buono. Ho voluto raccontare anche la fragilità di questa persona, un’ignoranza che credo si riesca a percepire, perchè l’essere umano è e sarà sempre fatto di tante sfumature.
Chi è per te Lea Garofalo?
In molti sostengono che Lea sia una vittima della ‘ndrangheta, in realtà non lo è, bensì è una combattente, è una donna che ha sfidato la cultura criminale nella quale è cresciuta per garantire un futuro a lei e a sua figlia, un futuro di libertà e speranza che le cose possano davvero cambiare. Lei ha scelto di cambiare; avrebbe potuto fare come fa la maggior parte, ovvero quella di farsi scegliere, ma invece no.
Cosa vorresti arrivasse di questo film al pubblico?
Innanzitutto, mi piacerebbe arrivasse tutto quello che è arrivato a noi attori, ovvero una miriade di emozioni. Vorrei che coloro che vedranno il film capissero che l’odio grida forte nel mondo, purtroppo, ma che l’amore grida ancora più forte. Vorrei che arrivasse un senso di speranza che le cose possono cambiare, che il sacrificio di Lea ma anche di Denise non sia stato vano, anzi; sono due donne che hanno avuto il coraggio di vivere il proprio sogno di libertà e ognuno di noi dovrebbe credere e avere la forza di perseguire i propri sogni.
Sei calabrese. Cosa rappresenta per te questa terra?
E’ la mia terra, è il luogo dove sono nato, le mie radici che mi tengono ancorato alla bellezza, agli odori e ai suoi profumi. Per varie esigenze, me ne sono andato, ma appena posso vi faccio ritorno. E’ una terra contaminata ahimè anche dalla criminalità organizzata, ma da molto altro, dalla storia, da tanti giovani e non che continuano a combattere in trincea per far sì che ci possa essere un cambiamento per le cose che non stanno andando per il verso giusto
Dopo “Lea”, dove ti vedremo?
Sto lavorando ad una serie televisiva in quattro puntate prodotta dalla Taodue, con Peppino Mazzotta e Marco Bocci, andrà in onda il prossimo anno su Canale 5. A teatro, ci sono progetti con degli ex compagni di classe.
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