Il reddito è in flessione ininterrotta dal 2008 e, a causa della crisi, ogni famiglia ha registrato in media una riduzione del proprio potere d’acquisto di oltre 3.400 euro.
La dimensione della crisi è tale che, per tornare alle dinamiche di crescita precedenti, bisognerebbe aspettare il 2036 per recuperare il potere d’acquisto perduto.
Lo afferma una ricerca Confcommercio-Cer indicando che in cinque anni in termini reali il reddito ha registrato una contrazione dell’8,7% e una perdita complessiva di 86 miliardi di euro. Per i consumi insomma è encefalogramma piatto: gli acquisti delle famiglie sperimentano oggi una flessione di dimensione mai registrata nel quasi 70 anni di vita della Repubblica italiana, indica ancora la ricerca presentata in occasione dell’assemblea dell’associazione dei commercianti.
“Consumi, crescita e occupazione picchiano già al ribasso da troppo tempo. Tanto che si potrebbe quasi dire: ‘c’erano una volta i consumi…” ha commentato il presidente Confcommercio Carlo Sangalli. Ci stiamo muovendo quindi “con il passo del gambero”, si va indietro piuttosto che avanti: in quanto le famiglie si trovano nella condizione di dover rinunciare a una porzione non trascurabile di acquisti. E le tasse sono troppe e troppo difficili da pagare, sottolinea ancora Confcommercio.
A ogni impresa servono 269 ore di lavoro l’anno per adempiere agli obblighi richiesti dal fisco. Il doppio della Francia, il 60% in più della Spagna, il 30% in più della Germania. Oltretutto, adempiere al fisco, costa: le Pmi italiane sostengono a tale scopo un onere annuo di 10 miliardi, quasi il 50% in più della media dei Paesi Ue.
Nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi raggiungerà il suo massimo storico: 162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000); ne occorrono invece 130 nella media europea (-24% rispetto all’Italia).
“Un inasprimento che aggredisce un monte redditi già declinante – afferma la Confcommercio – contribuendo così sia a comprimere la domanda aggregata, sia a scoraggiare l’offerta di lavoro”.
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