Albina Colella, professoressa ordinaria all’università della Basilicata aveva effettuato degli studi sulle acque affiorate a qualche chilometro di distanza da un impianto gestito da Eni.
Condanna per lite temeraria, questo l’esito della sentenza emessa nei confronti dell’Eni per aver chiesto un risarcimento nei confronti della professoressa universitaria Albina Colella, richiesta “fuori da qualsiasi parametro che regoli il risarcimento in materia”.
La professoressa ordinaria all’università della Basilicata aveva effettuato degli studi sulle acque affioranti a qualche chilometro di distanza da un impianto gestito da Eni. Era perfino arrivata a parlarne in Tv, per denunciare la situazione: “Le acque sotterranee ricche di idrocarburi, gas, metalli e tensioattivi – sostiene la dottoressa – mostravano diverse affinità con i reflui di scarto petrolifero”.
Per tali affermazioni, l’Eni, che gestisce gli impianti della Val d’Agri, l’aveva querelata per diffamazione e danni morali e patrimoniali, chiedendo un risarcimento di poco più di 5 milioni euro. Ma lo scorso 19 luglio, la Prima Sezione Civile del tribunale di Roma ha rigettato integralmente la richiesta di risarcimento danni avanzata da Eni, dando ragione alla professoressa. Sancendo, di fatto, la legittimità dell’informazione scientifica.
Gli avvocati di Colella, Giovanna Bellizzi e Leonardo Pinto, hanno spiegato che la sentenza stabilisce il diritto all’informazione in materia ambientale e riconosce la valenza costituzionale della libertà di opinione.