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Don Michele de Paolis, il prete che difendeva i deboli
25 Dic 2014 08:56

Lele e Dora, Nino e Lola, Marino e Anna, Lino e Patrizia, Domenico e Francesca.

Nel 2003, Don Michele de Paolis preferì spostare su «quei giovani che nel dicembre 1978 hanno scommesso su questi risultati» i ringraziamenti per la realizzazione della “Comunità sulla strada di Emmaus” che festeggiava i venticinque anni di vita.

Nel raccontare a “La Grande Provincia” gli inizi, quel sacerdote salesiano già ottuagenario restituì il fervore autentico di un pezzo non piccolo della città, messo in moto da generosità e scelte di vita esemplari.

Don Michele raccontò che aveva lasciato i locali della parrocchia di Sacro Cuore, nella pancia del popolare quartiere foggiano di Candelaro, e, assieme ad altri due salesiani, era andato a vivere in una baracca, trasformando la canonica della chiesa nella scuola popolare di Don Bosco. Trecento adulti riuscirono a prendere la licenza media, raccontava orgoglioso il sacerdote a Emiliano Moccia, giovane giornalista impegnato nel volontariato e oggi, fra l’altro, pilastro dell’esperienza dei Fratelli della Stazione.

«Essere dei preti che stavano vicino alle lotte della gente per la scuola, la sanità, la salute, il verde pubblico attirò molti giovani e negli anni settanta Sacro Cuore divenne punto di riferimento di un cambiamento dello stile di vita ecclesiale e sociale».

Nel 1978, l’anno in cui l’Italia sceglie il servizio sanitario universale e egualitario, dopo cinque anni di presenza a Candelaro, il giorno dell’Immacolata un gruppo di ragazzi decise di fare un’esperienza di vita insieme ai sacerdoti e andarono tutti a vivere in una vecchia casa cantoniera, a Santa Tecchia, sulla provinciale 74, verso il mare, a circa 25 chilometri dalla chiesa del Sacro Cuore.

Nel 1983 si liberò un podere poco distante di proprietà della Fondazione Siniscalco Ceci, istituita con il patrimonio di due aristocratiche a cui si deve l’istituzione anche degli Ospedali Riuniti di Foggia.

Alcuni friulani che erano stati aiutati dal prete dopo il terremoto del 1978, suggerirono a Don Michele di chiedere alla Prefettura di poter disporre delle baracche utilizzate nel post-sisma (il più breve, operoso e sollecito della tormentata storia dei terremoti italiani) e, così, intorno a quel podere numero 10 di Torre Guiducci e alle baracche utilizzate dopo il terremoto del Friuli, nacque il Villaggio Emmaus, il cuore della parabola evangelica di Don Michele de Paolis.

Il senso di quel racconto delle origini rispuntò, a Foggia, anche in un vasto movimento per la pace che si sviluppò in occasione della seconda Guerra del Golfo. A marzo del 2004, qualche giorno prima che ricorresse l’anniversario dell’uccisione di Franco Marcone, arrivai sul palco del Teatro del Fuoco che l’incontro con Gino Strada che dovevo moderare era già iniziato, tante erano le persone che stavano dentro e fuori la sala. Con il giornale, avevo preso una linea per cui c’era sempre uno spazio in prima pagina con notizie della guerra in Iraq e seguivamo costantemente tutte le iniziative pacifiste che si sviluppavano in città e nella provincia: mi pareva impossibile che un giornale potesse non tenere dentro, visibilmente, quel tassello della vita quotidiana collettiva.

Don Michele era seduto in prima fila al Teatro del Fuoco e, con Gino Strada, si scambiarono un tributo e un abbraccio molto intenso.

Nella foto, appunto, Gino Strada e Don Michele de Paolis al Teatro del Fuoco di Foggia, 25 marzo 2004

Il salesiano, che avevo avuto modo di conoscere solo fugacemente, mi disse che avevo fatto una scelta molto forte con quella costante finestra su una guerra solo geograficamente lontana, aperta dalle pagine di un giornale locale.

È vero che godevamo di resoconti, sintesi della giornata e opinioni di AGL, l’agenzia del Gruppo L’Espresso. Ma restava una scelta molto rischiosa in termini di credibilità. Don Michele mi disse che, invece, era stato per lui perfino un motivo di orgoglio mostrare il modo con cui un giornale foggiano stava seguendo il conflitto, in modo non banale e con un evidente approccio problematico, compreso quello “interventista” che io stesso esprimevo ed espressi nel dibattito con Strada.

Conoscevo il profilo politico “mondano” e realista di un prete storico punto di riferimento della sinistra, poco incline agli estremismi di ogni segno, e perciò riuscii, malgrado il contesto molto rumoroso, ad avere uno scambio molto schietto. Tornai in redazione e scrissi un editoriale su quello che avevo visto al Teatro del Fuoco, dove la CGIL annunciò la decisione di devolvere un euro per ogni “740” elaborato presso gli sportelli di Promoservice, il suo centro di assistenza fiscale, per finanziare un presidio di primo soccorso di Emergency in Afghanistan.

Quell’abbraccio tra Strada e de Paolis, la folla che costrinse il fondatore di Emergency a improvvisare un’appendice di incontro nell’anfiteatro esterno alla sala, l’intervento di Pino Tucci per ricordare che a Foggia si registrava il più alto numero in Italia di obiezione di coscienza fiscale alle spese militari, le parole inaspettate che mi rivolse don Michele, mi fecero riconnettere i fili con quello che, l’anno prima, avevamo raccontato, quando la guerra vera infranse il vocabolario stesso che un giornale usava correntemente – “Guerra per le poltrone”, “Scontro in Consiglio comunale”, “Bomba di Bossi sul governo” – costringendoci spesso a retrocedere le cronache domestiche.

Mentre si inseguiva e si seguiva il conflitto in Iraq, a Foggia succedeva che la gente andava per strada, che protestava all’aeroporto militare di ”Amendola”, che le famiglie esponevano ai balconi e alle finestre le bandiere della pace.

Poi che si organizzavano i pullman per le manifestazioni nazionali e le adesioni foggiane erano massicce.

Insomma, c’era una città che chiedeva altre forme di partecipazione al processo di formazione delle decisioni piccole e grandi, dando valore e funzione politica, oltre che educativa, all’esempio, in cui in definitiva consisteva la “militanza” di Don Michele de Paolis.


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