Campania e Puglia rappresentano in teoria l’asse più forte dell’economia meridionale; l’area che ha le maggiori possibilità di ripresa dopo questa terribile crisi, con possibili effetti diffusivi verso il resto del Mezzogiorno.
Ma quello tra le due regioni è davvero un asse? Per molti versi si somigliano: dispongono ancora di una significativa base industriale – per quanto in sensibile contrazione – con una discreta apertura internazionale e non poche medie imprese di successo; hanno un terziario diversificato, un’agricoltura, e un’agroindustria ancora con molte qualità.
Condividono allo stesso modo molti problemi, a cominciare dalla tenuta del tessuto sociale e della legalità, di una disoccupazione inaccettabile. Condividono grandissime diversità interne: sono differenti le Campanie e ancor più le Puglie.
Sono le due grandi regioni a statuto ordinario del Sud, con problemi di governo molto simili. Naturalmente, molto le differenzia: a cominciare dalla storia, dalla proiezione geografica sul mare, dal ruolo di Napoli come grande città, con il suo portato negativo (dalle aree di degrado periurbano alla diffusa sensazione di declino) e positivo (dalla maggior presenza di istituzioni culturali e scientifiche ai collegamenti con il resto del paese).
Ma a differenza di Piemonte e Lombardia, Campania e Puglia sono assai poco integrate economicamente. Gli scambi fra le due regioni sono deboli; e altrettanto sono le forme di collaborazione universitaria, scientifica e culturale. Basta percorrere l’autostrada che le lega per accorgersi che non c’è un confine geografico ma una netta separazione: si lascia un mondo, si attraversa una grande area intermedia dove i flussi di traffico sono molto modesti, si arriva nell’altro. Questo accade da decenni, da quando l’economia e la società pugliese si è progressivamente staccata dalla relazione con la ex grande capitale partenopea, e ha volto i suoi rapporti principalmente al Nord (e in tempi più recenti all’Est). Benissimo, naturalmente, avere forti relazioni verticali e internazionali; quel che danneggia entrambe è che le relazioni orizzontali siano così scarse.
Mentre fra Torino e Venezia esiste il Nord, un’area piena di scambi di tutti i tipi, fra Napoli e Bari, esiste un Sud impalpabile, molto poco denso. E ancora più questo accade verso la Calabria. Da tempo è chiaro che qui risiede uno dei motivi principali della debolezza economica del Mezzogiorno: il Nord esiste, il Sud molto meno; è un insieme geografico di aree che per molti versi fanno vita a sé. Ricostruire relazioni e affari, incroci di culture e possibilità di sviluppo è possibile. Il rafforzamento dell’asse Campania-Puglia dovrebbe essere una delle chiavi più forti delle politiche di rilancio del Mezzogiorno. Se esistessero. Certo, richiede tempo; una volontà politica che è scarsa da tempo (a parte lodevoli eccezioni); idee il più chiare possibili sul da farsi. Proviamo ad elencare alcuni possibili aree su cui si potrebbe lavorare.
La prima è naturalmente quella dei collegamenti: da entrambi i capologhi si raggiunge molto più agevolemente Milano che l’altro. Il grande progetto ferroviario è fermo. Nonostante gli sforzi dei precedenti governi per definire tempi e risorse certe per l’attuazione, le attività languono, per disinteresse politico ed economico (pochi giorni fa l’Agenzia per la Coesione ha reso noto che nel 2013 la spese delle Ferrovie nell’intero Mezzogiorno è stata solo il 14,3% del totale nazionale, una percentuale infima e decrescente; il DEF ci ha informato che nel 2014 per la Napoli-Bari sono stati spesi solo 77 milioni, il 34% di quanto si doveva fare nell’anno, circa il 2% del costo totale finanziato).
Da tempo immemorabile, segno del disinteresse è la mancanza di un semplice collegamento ferroviario diretto: da Napoli, partire in treno per Roma significa essere nel XXI secolo, partire per Lecce significa tornare nel XIX. Non si può che cominciare dall’immediata istituzione di un civile e cadenzato servizio ferroviario; da una seria verifica di fattibilità di una rete di collegamenti aerei intrameridionali promossi con incentivi pubblici come finanziamento di un diritto di base alla mobilità; e, naturalmente, dal rilancio dell’opera ferroviaria.
La seconda è ancora relativa all’incontro fra le persone, e quindi fra le idee. Si può lavorare – come in parte avvenuto nell’aeronautica – a scala sovraregionale a programmi di collaborazione e rilancio delle strutture universitarie (con forme di collegamento e specializzazione), dei soggetti di ricerca, delle strutture per l’innovazione, delle attività culturali. Naturalmente anche dell’offerta turistica.
Non è facile: ma in molti di questi casi una massa critica sovraregionale può aiutare moltissimo, nel presente e nel futuro. La terza è relativa alla politica economica. Gli interessi di Campania e Puglia – come grandi regioni a statuto ordinario – nei confronti delle politiche nazionali sono del tutto allineati: entrambe soffrono del grande disinteresse (e della contrazione di risorse) per le politiche aggiuntive nel Mezzogiorno, del crollo degli investimenti pubblici, del ridisegno della spesa che sta colpendo il Mezzogiorno (sanità, scuola, università), dell’assenza di politiche nazionali di contrasto alla povertà, della fiscalità locale che penalizza le aree più deboli. Si è già notato su queste pagine che questi temi sembrano interessare pochissimo ai parlamentari delle due regioni (e dell’intero Mezzogiorno).
Chissà che le elezioni regionali non portino novità. La quarta, assai più semplice ma importantissima, è relativa al concreto governo regionale e locale: entrambe – e le loro città e cittadine – nel nuovo secolo hanno sperimentato politiche di successo e significativi fallimenti. E’ mancata però totalmente la capacità di scambiarsi e diffondere buone pratiche, di riflettere insieme sulle difficoltà, di condividere esperienze e sperimentazioni. Non sarebbe male fare un punto serio: sulle regioni e sulle loro relazioni; sulle possibilità di rafforzarle; sulle possibili priorità comuni. Non per spendere qualche buona parola, ma per costruire progetti.
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