La vicenda della minacciata chiusura dello stabilimento Whirlpool di Caserta è molto grave: in sé; e perché testimonia di una forte disattenzione da parte del governo.
L’arrivo di imprese estere in Italia è certamente benvenuto, mai come ora.
Ci servono imprese che apportino capitali, tecnologie e reti sui mercati internazionali per rafforzare il nostro tessuto industriale, fortemente provato dalla crisi. Imprese italiane che vanno bene non mancano, ma complessivamente abbiamo perso circa un quinto della nostra capacità produttiva manifatturiera, e dobbiamo ricostruirla, pena una riduzione strutturale del nostro benessere. Il beneficio delle imprese multinazionali è massimo quando avviano nuove attività.
Difficile, in Italia e in questa congiuntura economica, ma non impossibile: specie per aziende che puntano molto su capitale umano giovane e qualificato come quello purtroppo ampiamente disponibile e inutilizzato da noi. Bisognerebbe provare ad attrarne con molta maggiore convinzione: specie al Sud, dove le risorse inutilizzate sono di più e l’impatto di nuove attività assai maggiore.
Spesso le multinazionali arrivano acquisendo imprese italiane già esistenti. Negli ultimi mesi ci sono stati molti casi. Non c’è da drammatizzare: la presenza estera nell’industria italiana è ancora inferiore rispetto ad altri grandi paesi europei. Ma c’è da capire, ragionare e contrattare: cosa che evidentemente, in grande misura, è mancata nel caso Whirlpool.
Infatti, una acquisizione dall’estero non porta solo effetti positivi: può modificare/ridurre le produzioni esistenti (specie in un settore assai maturo come quello degli elettrodomestici), con conseguenze anche molto negative. Per questo, tutti i governi dei paesi avanzati cercano innanzitutto di capire quel che può succedere, incontrando e dialogando con chi arriva, specie nei casi di più rilevante impatto.
Nessun dirigismo: ma il dovere di comprendere i cambiamenti che possono determinarsi. Apparentemente è ciò che è successo. Ma che hanno detto gli americani al nostro governo? A giudicare dalle informazioni diffuse dalla Whirlpool, stiamo parlando di 500 milioni di euro di nuovi investimenti.
Bene! Ma stiamo parlando anche di una profonda riorganizzazione geografica e tipologica della produzione in Italia. È proprio di questo che i governi parlano con le imprese multinazionali: si fanno raccontare il piano industriale, ne discutono, cercano (quasi sempre con successo) di influenzarlo secondo le priorità nazionali, dato che dispongono di strumenti concreti (fondi per ammortizzatori sociali, strumenti di politica industriale) e di un rilevante potere di “moral suasion”. Come, fra i mille esempi, ha fatto l’Amministrazione Obama con la Fiat: un vero contratto con obiettivi ben specificati. Apparentemente, daccapo, è ciò che è successo.
E invece non lo è per niente. Non per la Whirlpool, ma per l’Italia. La chiusura di uno stabilimento con 800 dipendenti a Caserta (e lo stesso vale per le attività di ricerca, vicino a Torino), mentre si investe mezzo miliardo e si pensa di accrescere l’occupazione a Varese è una normale ipotesi per un’impresa americana. Ma non può esserlo per il governo di un paese nel quale le regioni più deboli soffrono di una spaventosa e persistente disoccupazione, e hanno visto ridursi – ben più della media nazionale – il proprio apparato industriale – già assai più piccolo.
La difesa e il potenziamento di una significativa base industriale nel Mezzogiorno non può che essere un grande obiettivo politico nazionale, per consentire all’intero paese di crescere più e meglio. Nulla contro l’aumento dell’occupazione a Varese, ci mancherebbe. Ma il governo dovrebbe avere una propria visione delle priorità (anche territoriali) di politica industriale; con queste priorità ben chiare in mente dovrebbe incontrare le imprese multinazionali, e mettere in campo strumenti per interloquire con i loro piani industriali. La localizzazione degli investimenti esteri è ovunque anche materia di politica industriale.
Il governo non sembra avere ancora una chiara strategia di politica industriale (a differenza di tutti, ma proprio tutti, gli altri paesi europei). Si limita ad aprire “tavoli di crisi” al Ministero per i casi più drammatici (intervenendo dopo e non provando a evitare prima). Lancia piccoli strumenti, anche giusti, ma dagli effetti assai modesti. Non si ricorda un intervento di “visione politica” dell’attuale Ministro; l’individuazione di priorità (neanche, ad esempio, per l’azione del Fondo Strategico Italiano). Ma soprattutto il governo non sembra avere idee chiare sul Mezzogiorno.
Il fatto che dopo l’incarico alle Infrastrutture per Del Rio non si capisca nemmeno chi sia responsabile della coesione territoriale, la dice lunga. Mordi e fuggi. Dichiarazioni con scarso seguito. Qualche annuncio. E il totale, assordante, silenzio dei politici meridionali di maggioranza. Invece, tante scelte, grandi e piccole, come documentato con precisione da questo giornale, che peggiorano il quadro. Di fronte ad una realtâ davvero grave. E che, come dimostra il caso di Carinaro, può ancora peggiorare.
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