Tra le vittime degli estortori mafiosi del clan di Bagheria c’era anche una casa di riposo. Succede a Bagheria, in Sicilia. Nella lista degli estortori agenzie di scommesse, autofficine, commercianti di pesce, 28 imprenditori edili. Almeno una ventina di vittime hanno denunciato di avere subito estorsioni: “un aspetto molto promettente” ha commentato il procuratore di Palermo Francesco Messineo, mentre un appello fatto a commercianti e imprenditori a rivolgersi alle forze dell’ordine e ad avere fiducia nelle istituzioni è stato lanciato dal colonnello Pierangelo Iannotti, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo.
Tornano i nomi dei boss storici al vertice di Bagheria, il feudo mafioso che è stato a lungo rifugio del padrino Bernardo Provenzano. E a capo del mandamento si ritrovano Nicolò Greco, fratello dell’ergastolano Leonardo, Giuseppe Di Fiore che i pentiti chiamano “la testa dell’acqua“, la sorgente del clan a cui si deve obbedienza assoluta, e Carlo Guttadauro, cognato del boss latitante Matteo Messina Denaro e fratello del medico, Giuseppe, che per anni ha retto la cosca di Brancaccio.
Padrini da sempre, con parentele illustri in Cosa nostra, tornati a comandare e a decidere di estorsioni, intimidazioni, attentati, rapine e omicidi. A inchiodarli, ancora una volta sono i pentiti: Stefano Lo Verso, Vincenzo Gennaro, ma soprattutto Sergio Rosario Flamia, uomo d’onore con contatti con i Servizi Segreti, che da mesi svela agli inquirenti i nuovi organigrammi della mafia di Palermo e provincia.
Ed è grazie ai collaboratori di giustizia e al lavoro di ricostruzione dei carabinieri del comando provinciale di Palermo, coordinati dalla dda, che la scorsa notte è stato possibile fermare 31 tra boss e gregari del clan di Bagheria e della famiglie di Villabate, Ficarazzi, Altavilla Milicia e Casteldaccia.
I carabinieri sono intervenuti d’urgenza con un provvedimento di fermo perché alcuni capimafia, come Michele Modica, detto l’Americano, avevano scoperto di essere intercettati – le cimici hanno registrato il boss mentre controllava la presenza di telecamere – ed erano pronti a lasciare l’Italia per Santo Domingo. Per altri uomini d’onore – una trentina – già detenuti la Procura ha chiesto al gip, che non ha ancora provveduto, la custodia cautelare in carcere. Dalle indagini è emerso il tentativo delle cosche di ricreare un direttorio, una sorta di vecchia commissione provinciale di Cosa nostra che doveva fungere da vertice unitario.
“A Palermo hanno ricostruito di nuovo tutto“, svela Antonino Zarcone, ex reggente del mandamento di Bagheria a Flamia, dopo la sua scarcerazione, alludendo proprio alla nascita della nuova Cupola, organismo a cui, evidentemente, i boss restano affezionati. L’inchiesta ha ricostruito anche la mappa del pizzo, attività che Cosa nostra continua a portare avanti a tappeto, solo che questa volta molte vittime – una ventina circa – hanno denunciato le pressioni del racket.
“Siamo a una svolta“, ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo commentando il mutato atteggiamento delle vittime in un contesto finora dominato da paura e omertà. Dall’indagine vengono fuori anche i drammi vissuti da commercianti e imprenditori come Giuseppe Sciortino, costruttore finito in rovina perché stretto dalla morsa delle estorsioni che, dopo essersi rivolto ai carabinieri, si è impiccato. Nell’elenco delle vittime è finita anche una casa di risposo, costretta a pagare la “rata” del pizzo. Tra i reati contestati ai fermati anche alcune rapine e l’ omicidio di Antonino Canu, ucciso a Caccamo nel 2006, e il tentativo di omicidio di Nicasio Salerno, sfuggito a un agguato mentre, il 23 agosto del 2005, era in compagnia della moglie. Erano finiti nel mirino dei killer di Cosa nostra perché facevano furti e chiedevano soldi per restituire ai proprietari la refurtiva senza il benestare della mafia.