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Anche la casa di risposo pagava il pizzo
06 Giu 2014 07:48

Tra le vittime degli estortori mafiosi del clan di Bagheria c’era anche una casa di riposo. Succede a Bagheria, in Sicilia. Nella lista degli estortori agenzie di scommesse, autofficine, commercianti di pesce, 28 imprenditori edili. Almeno una ventina di vittime hanno denunciato di avere subito estorsioni: “un aspetto molto promettente” ha commentato il procuratore di Palermo Francesco Messineo, mentre un appello fatto a commercianti e imprenditori a rivolgersi alle forze dell’ordine e ad avere fiducia nelle istituzioni è stato lanciato dal colonnello Pierangelo Iannotti, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo.

Tornano i nomi dei boss storici al vertice di Bagheria, il feudo mafioso che è stato a lungo rifugio del padrino Bernardo Provenzano. E a capo del mandamento si ritrovano Nicolò Greco, fratello dell’ergastolano Leonardo, Giuseppe Di Fiore che i pentiti chiamano “la testa dell’acqua“, la sorgente del clan a cui si deve obbedienza assoluta, e Carlo Guttadauro, cognato del boss latitante Matteo Messina Denaro e fratello del medico, Giuseppe, che per anni ha retto la cosca di Brancaccio.

Padrini da sempre, con parentele illustri in Cosa nostra, tornati a comandare e a decidere di estorsioni, intimidazioni, attentati, rapine e omicidi. A inchiodarli, ancora una volta sono i pentiti: Stefano Lo Verso, Vincenzo Gennaro, ma soprattutto Sergio Rosario Flamia, uomo d’onore con contatti con i Servizi Segreti, che da mesi svela agli inquirenti i nuovi organigrammi della mafia di Palermo e provincia.

Ed è grazie ai collaboratori di giustizia e al lavoro di ricostruzione dei carabinieri del comando provinciale di Palermo, coordinati dalla dda, che la scorsa notte è stato possibile fermare 31 tra boss e gregari del clan di Bagheria e della famiglie di Villabate, Ficarazzi, Altavilla Milicia e Casteldaccia.

I carabinieri sono intervenuti d’urgenza con un provvedimento di fermo perché alcuni capimafia, come Michele Modica, detto l’Americano, avevano scoperto di essere intercettati – le cimici hanno registrato il boss mentre controllava la presenza di telecamere – ed erano pronti a lasciare l’Italia per Santo Domingo. Per altri uomini d’onore – una trentina – già detenuti la Procura ha chiesto al gip, che non ha ancora provveduto, la custodia cautelare in carcere. Dalle indagini è emerso il tentativo delle cosche di ricreare un direttorio, una sorta di vecchia commissione provinciale di Cosa nostra che doveva fungere da vertice unitario.

A Palermo hanno ricostruito di nuovo tutto“, svela Antonino Zarcone, ex reggente del mandamento di Bagheria a Flamia, dopo la sua scarcerazione, alludendo proprio alla nascita della nuova Cupola, organismo a cui, evidentemente, i boss restano affezionati. L’inchiesta ha ricostruito anche la mappa del pizzo, attività che Cosa nostra continua a portare avanti a tappeto, solo che questa volta molte vittime – una ventina circa – hanno denunciato le pressioni del racket.

Siamo a una svolta“, ha detto il procuratore di Palermo Francesco Messineo commentando il mutato atteggiamento delle vittime in un contesto finora dominato da paura e omertà. Dall’indagine vengono fuori anche i drammi vissuti da commercianti e imprenditori come Giuseppe Sciortino, costruttore finito in rovina perché stretto dalla morsa delle estorsioni che, dopo essersi rivolto ai carabinieri, si è impiccato. Nell’elenco delle vittime è finita anche una casa di risposo, costretta a pagare la “rata” del pizzo. Tra i reati contestati ai fermati anche alcune rapine e l’ omicidio di Antonino Canu, ucciso a Caccamo nel 2006, e il tentativo di omicidio di Nicasio Salerno, sfuggito a un agguato mentre, il 23 agosto del 2005, era in compagnia della moglie. Erano finiti nel mirino dei killer di Cosa nostra perché facevano furti e chiedevano soldi per restituire ai proprietari la refurtiva senza il benestare della mafia.


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