Quanti sanno che in Italia le associazioni del Terzo Settore che lavorano sui beni comuni e intervengono in situazioni spesso difficili di disagio sono sottoposte al regime dell’Iva come un’azienda qualsiasi? Ebbene sì, anche l’Italia che fa bene all’Italia è vessata da un regime fiscale e da uno Stato che in questo paese non sanno davvero riconoscere il valore dell’impegno sociale se non quando fa comodo per tappare i buchi dei servizi non erogati da una burocrazia disorganizzata e inefficiente.
Se ne sono accorti il Corriere della Sera e il TG di La7 che hanno organizzato una raccolta di fondi dopo il terremoto in Emilia e poi sono visti chiedere l’Iva sulle donazioni raccolte. Uno scandalo oggettivo che grida vendetta e sul quale è partita la campagna #noprofitnoiva. Uno scandalo ancora maggiore se si considera che “l’IVA è un’imposta generale sui consumi, il cui calcolo si basa solo sull’incremento di valore che un bene o un servizio acquista ad ogni passaggio economico (valore aggiunto), a partire dalla produzione fino ad arrivare al consumo finale del bene o del servizio stesso” (cit. da Wikipedia).
Quale valore aggiunto può esserci nell’aver ricostruito una scuola distrutta dal terremoto se non quello, evidente, di aver restituito un pezzo di cultura e quindi di futuro a un territorio? Quali passaggi economici può aver mai vissuto una donazione se non quello dal portafogli di un lavoratore che nonostante i conti da far quadrare ha deciso comunque di privarsi di quei 5 euro e donarli ai propri connazionali in difficoltà? Che c’entra il consumo e in quale mercato dovrebbe trovare posto una donazione?
Insomma è evidente che parliamo della solita operazione raschia barile che serve allo Stato per quadrare i conti. Stavolta però i conti li hanno fatti male perché a differenza delle centinaia di piccole associazioni che non hanno la forza per far sentire la propria voce il Corriere della Sera e il TGLa7 sono organi di informazione e quindi di pressione capaci di sollevare il caso e dargli il risalto che merita. Ecco perché penso che tutto il mondo del Terzo Settore dovrebbe aderire in maniera convinta e rapida alla campagna facendo sentire vivido il proprio sostegno, organizzando iniziative sui territori, dibattiti sulla stampa locale e sui media cittadini.
Si tratta di una occasione importante a maggior ragione che abbiamo di fronte un governo che qualche tempo fa annunciando la volontà di riformare il Terzo Settore lo ha lanciato all’attenzione pubblica dicendo che a dispetto del nome si tratta di un ambito di primaria importanza economica oltre che sociale. È il momento giusto per chiedere che venga eliminata una volta per tutte la tassa sulla solidarietà, anche in considerazione del fatto evidente che nella maggior parte dei casi i servizi erogati dalle associazioni no profit servono a colmare i vuoti che lo Stato non è in grado o non sa colmare e in questo senso tassare questi interventi è come tassare il bene comune.
Sarebbe interessante fare una mappa di tutti gli interventi che si sarebbero potuti fare se il non profit avesse potuto contare anche sulle risorse che fino ad ora ha dovuto impiegare per far fronte all’IVA. Ne verrebbe fuori una sorta di carta degli interventi interrotti che meglio di ogni altra cosa potrebbe chiarire anche ai meno attenti l’importanza della posta in gioco.
La campagna #noprofitnoiva ha già ottenuto il sostegno delle più importanti associazioni italiane e molti politici ad ogni livello si sono dichiarati pronti a sostenerla nelle relative sedi istituzionali. Vorrei che su questo tema non si producessero le solite stucchevoli divisioni tra destra e sinistra e che tutti i territori fossero in prima fila. Per questo rivolgo ai parlamentari del Sud di ogni schieramento l’invito pressante a fare propria e sostenere nei modi adeguati questa campagna alla Camera e al Senato. Si tratta di una battaglia di civiltà in cui mi piacerebbe vedere un chiaro impegno del Mezzogiorno.
Lascia un commento