Piccola, preziosa e rara. Quindi intoccabile. Ma ancora per poco. Presto sarà digitalizzata per renderla consultabile a studiosi, appassionati, ma anche semplici curiosi. E’ la preziosa edizione di una delle Bibbie miniate di Pietro Cavallini, uno dei libri più famosi al mondo, che sarà presto visibile ai frequentatori della biblioteca Ursino Recupero che la ospita.
L’iniziativa è del Comune di Catania, promossa dal sindaco Enzo Bianco, che la presenterà alla stampa martedì prossimo. Il programma riguarda manoscritti e libri antichi e rari del fondo Benedettino della Biblioteca e fa parte del progetto ‘Science and technology digital library’ finanziato e coordinato da Cnr e università di di Catania.
La Bibbia miniata del Cavallini, ritenuta una delle cinque più belle al mondo, fu acquistata a Roma, tra il 1740 e il 1750 da Placido Scammacca per arricchire la Biblioteca del monastero di San Nicolò l’Arena di Catania ed è stata sempre oggetto di attenzione e ammirazione da parte di studiosi e bibliofili. È stata esposta fino a oggi soltanto in tre mostre a Roma (1954), Bruxelles (1965) e Catania (1999).
Il codice in folio è miniato in oro, consta di 440 carte (Vecchio e Nuovo Testamento, con le Epistole a Prologhi di San Girolamo) disposte su due colonne di 56 linee, di accurata scrittura gotica, ha titoli rubricati ed è decorata con iniziali istoriate e con fregi marginali costituiti da steli che fanno da cornice al racconto biblico, adorno da figurine umane e grottesche, spesso racchiuse in medaglioni. Con il codice nasce l’arte della miniatura e il libro in senso moderno, composto di singole pagine da sfogliare e non da srotolare.
Indagini testuali, paleografiche e codicologiche sulla Bibbia del Cavallini fissano l’esecuzione di questo splendido codice tra la fine del ‘200 e i primi decenni del ‘300, creato in un centro di produzione libraria di altissimo livello per qualità e quantità della decorazione.
Il codice è evidentemente frutto dello sforzo unitario di più amanuensi e miniatori, almeno tre, guidati da un quarto che fa la sua comparsa a partire dalla prima “Lettera di Paolo ai Romani” e che per quella rappresentazione tridimensionale dello spazio, per i chiaro-scuri dei panneggi e degli incarnati, la sua volumetria dei personaggi raffigurati, può identificarsi con Pietro Cavallini in persona.
Petrus Caballinus de Cerronibus, romano, attivo tra l’ultimo trentennio del XIII secolo e il primo decennio del XIV, fu pittore e mosaicista, ma anche orefice e miniaturista e, come scrisse Vasari, “si sforzò sempre di farsi conoscere per ottimo discepolo di Giotto”.
“In quelle parti – ha spiegato la direttrice della Biblioteca, Rita Carbonaro – in cui tutto l’apparato decorativo non è riconducibile alla mano del Maestro in prima persona, è sempre pervaso dal filone più puro della pittura cavalliniana con l’esaltazione del colore, in una suggestiva instabilità di luce e di ombre che dissolvono gli ultimi residui bizantini in una morbidezza di tinte ariose e iridate, i colori sensualmente fusi sui quali la luce crea sottilissimi trapassi tonali”.
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