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Concorsi pubblici, il nuovo corso stenta a decollare: ecco perché

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  • L’annunciata riforma dei concorsi pubblici stenta a partire
  • Tempi troppo lunghi, regole di ingaggio poco allettanti e cattiva gestione delle selezioni
  • A rischio l’attuazione stessa del PNRR che necessita di 24 mila professionisti

Ad appena cinque mesi dall’avvio, la riforma dei concorsi pubblici, che ha introdotto nuove regole “fast track” per selezioni più veloci e digitali e che avrebbe dovuto inaugurare una nuova fase di reclutamento nella pubblica amministrazione, nei fatti stenta ancora a decollare.

Il grande piano di assunzioni della PA rischia, infatti, di scontrarsi con una realtà, fatta di ritardi nella pubblicazione dei bandi, tempi biblici, contratti poco convenienti e cattiva gestione delle procedure selettive.

La PA non attrae i professionisti

Se da un lato la riforma ha avuto il merito di sbloccare concorsi attesi da tempo e di semplificare le procedure di selezione, sono ancora molte le storture del sistema di reclutamento della Pubblica Amministrazione, come l’offerta di stipendi troppo bassi e contratti a tempo (max 36 mesi), poco attrattivi per tecnici e professionisti.

Agli aspiranti candidati vengono richieste lauree, master ed esperienze lavorative senza offrire in cambio un adeguato compenso. Questo è uno dei motivi della bassa partecipazione al concorso per 2800 tecnici al sud, il primo vero banco di prova della riforma, rivelatosi poi un vero e proprio flop, con meno di un terzo dei posti coperti (solo 800 le assunzioni) e che costringerà ad avviare nuove selezioni con un ulteriore spreco di tempo e risorse pubbliche.

Serve un deciso cambio di rotta

Al di là del consueto scaricabarile politico sui motivi del fallimento del concorso, il bando Coesione Sud ha fatto emergere tutte le criticità e difficoltà della Pubblica Amministrazione nel reperire professionalità di alto livello, indispensabili per il rinnovamento e la digitalizzazione delle PA.

Un sistema di reclutamento efficace è fondamentale, soprattutto se si pensa che, a causa della pandemia, del blocco dei concorsi e dei prepensionamenti dovuti a quota 100, la Pubblica Amministrazione ha toccato il minimo storico di dipendenti, che attualmente sono 3.212.450, 31mila persone in meno rispetto al 2019, come scrive l’Espresso.

L’impoverimento non è solo numerico. L’organico delle PA è costituito prevalentemente da figure giuridiche o profili di basso livello. Mancano dunque proprio quelle professionalità (ingegneri, informatici, tecnici), necessarie per traghettare la Pubblica Amministrazione verso la trasformazione digitale.

Molti concorsi rimasti fermi per troppo tempo stanno finalmente ripartendo. Basti pensare al bando Ripam per 2736 funzionari, annunciato a giugno 2020 e di fatto mai partito, al concorso INAIL per 1541 funzionari più volte stoppato o al bando del Ministero della Cultura per 1052 dipendenti lanciato nel 2017 e le cui selezioni sono partite solo recentemente.

Ora che i bandi sono stati riscritti alla luce delle nuove regole sui concorsi pubblici, eliminando la prova preselettiva e prevedendo una sola prova scritta e una valutazione per titoli, da più parti ci si chiede se sarà giusto affidare la selezione dei “migliori talenti” a un semplice quiz con domande a risposta multipla e a concorsi fatti in fretta e furia, come è accaduto con il bando Coesione Sud.

Quel che è certo è che se non si assisterà a un rapido cambio di passo nel sistema di reclutamento il rischio sarà ancora una volta quello di assistere nei prossimi mesi ad altrettanti fallimenti e di mettere a rischio l’attuazione stessa degli interventi legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), per cui sarà necessario reclutare 24 mila professionisti.

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Published by
Romina Ferrante