Domani alle 18.30 sarò in Piazza Santo Lio a Saracena (Cs) per raccontare la storia di Roberta Lanzino, studentessa universitaria, violentata e uccisa a poco più di cinquanta chilometri da lì, a Rende.
È il 26 luglio del 1988 e Roberta, con il suo motorino Sì della Piaggio, va verso la casa al mare. I suoi genitori Franco e Matilde sarebbero partiti pochi minuti dopo a bordo della “Giulietta” di famiglia. Percorre una strada secondaria. Perde l’orientamento, si smarrisce. Due uomini l’aggrediscono, le tagliano la strada, la colpiscono senza pietà al collo e alla testa con un coltello, la violentano e le conficcano una spallina in gola per strozzare le urla. Muore soffocata. Il suo corpo viene ritrovato alle 6.30 del mattino dopo. Dopo più di vent’anni il suo omicidio non ha ancora una verità. Il processo è ancora in corso.
La sua storia grazie alla disegnatrice Marina Comandini, l’associazione daSud e la casa editrice Round Robin è diventata una graphic novel, che in quasi un anno ho presentato nelle scuole e nelle librerie in giro per l’Italia, accendendo i riflettori sul femminicidio, sulla violenza di genere e sulla ‘ndrangheta. Sì, perché anche se non è un omicidio di ‘ndrangheta ad essa è legato: è presente in ogni passaggio della storia, vive nella concezione brutale e vendicativa che si ha del corpo delle donne, nelle lungaggini processuali e i depistaggi, nel fatto che quelli che dalla procura sono considerati gli assassini sono organici ai clan.
Roberta è una ragazza di 19 anni che ha un motorino come tante di noi. E, come noi, a quell’età pensa di avere tutta la vita davanti. La sua storia poteva essere la mia. E chi non lo capisce si rende complice di questa morte. E di tutti i femminicidi che come un bollettino di guerra scandiscono la vita del nostro Paese nell’indifferenza generale. Tenere viva la memoria, poter raccontare la storia di Roberta, è un modo per ricordare la violenza che ogni giorno si accanisce sul corpo delle donne.