Sabato 13 aprile decine di migliaia di cittadini hanno manifestato in un caldo pomeriggio a Pescara per dire no alla petrolizzazione dell’Abruzzo ed in particolare alla realizzazione di “Ombrina mare”, una piattaforma di estrazione di oltre 40 metri di altezza sul livello medio marino (come un palazzo di 10 piani), a soli 6 km al largo della costa dei Trabocchi, già da anni indicata come futuro Parco nazionale della Costa Teatina.
La piattaforma sarà collegata ad una grande nave riadattata per diventare una vera e propria raffineria galleggiante, definita Floating Production Storage and Offloading (FPSO), posizionata con ancoraggi a 10 km di distanza dalla costa. La nave, larga 33 m, alta 54 m e lunga 320 m (per capire l’ingombro, lo Stadio Adriatico di Pescara da curva a curva misura 220 metri), sarà destinata alle operazioni di separazione dell’olio dal gas, dissalazione ed al delicato processo di desolforazione del gas: tre fasi considerate che negli schemi dei petrolieri sono considerate proprie della raffinazione.
Quasi 300 tra enti locali, associazioni, comitati e diocesi hanno aderito a quella che è stata la più grande manifestazione mai organizzata in Abruzzo, perché è fortissima sul territorio la preoccupazione di vedere trasformare la regione dei parchi in distretto minerario, votato alla ricerca ed estrazione di idrocarburi come vorrebbe la nuova Strategia Energetica Nazionale approvata dal Governo Monti quando già si erano svolte le nuove elezioni.
Attualmente circa il 50% del territorio abruzzese è interessato da istanze di ricerca ed estrazione di idrocarburi: le aree più interessate sono quelle costiere e collinari dove vive la maggior parte degli abruzzesi e dove è presente un’economia basata sul turismo e sull’agricoltura, a cominciare dalla produzione vinicola di qualità. E la stessa sorte è riservata ad oltre 5.000 km quadrati del mare antistante la costa abruzzese.
La mobilitazione per fermare questa deriva petrolifera, come sempre più spesso accade, è partita dal basso. I primi ad accorgersi di quanto stava accadendo sono stati una ricercatrice americana di origine abruzzese, Maria Rita D’Orsogna, i contadini che si vedevano attivare per i loro campi le procedure di esproprio, le associazioni ambientaliste ed i tanti comitati spontanei di cittadini.
La politica è arrivata tardi ed in maniera poco efficace. Il Consiglio regionale abruzzese ha legiferato negli ultimi anni ben quattro volte in materia. Le leggi fatte sono state impugnate dal Governo davanti alla Corte Costituzione, dove la Regione non ha neppure provato a difendersi. Alla fine è stata approvata una legge sostanzialmente inutile che non tratta le ricerche a mare ed è del tutto inefficace su quelle a terra.
Gli stessi partiti che a Roma, in Parlamento, appoggiano le politiche energetiche che decidono dei territori senza sentire le realtà locali, provano poi a cavalcare la protesta con risultati che a volte sfiorano il ridicolo.
L’11 aprile, due giorni prima della grande manifestazione, il Governatore della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi, dichiarava alla stampa che, grazie alla sua azione, il Ministero dell’Ambiente aveva bloccato ogni decisione sulla valutazione ambientale del progetto. Peccato che il 3 aprile la Commissione per la Valutazione di Impatto Ambientale nazionale avesse già dato il proprio parere favorevole.
Nessuno lo aveva avvertito. Se ne sono accorti i volontari del WWF Abruzzo.