A molti di voi sarà accaduto di non riuscire a piangere. In certe regioni dell’Africa si resta svegli fino a notte fonda per scrutare il cielo e capire quali segni ci invia, se prima o poi pioverà e la nostra leggiadra piantagione di cotone sarà in salvo.
Così credo che il pianto sia soprattutto un momento di contatto con se stessi, un nutrimento dell’anima come si racconta nei Salmi: “Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza”; e ancora: “Di cenere mi nutro come di pane, alla mia bevanda mescolo il pianto”.
Ricordo le lezioni universitarie di ginecologia e le mestruazioni come un pianto dell’utero per la mancata ovulazione, immagine che suggerisce qualcosa di più profondo, ben al di là di una struggente metafora.
C’è chi non riesce a piangere in pubblico e chi preferisce farlo al riparo dal silenzio. Perché quel silenzio sembra infondere una ruvidezza e un dolore insopportabili al malessere che ci affligge.
Ma la verità è che non riusciamo a piangere perché non sappiamo più leggere dentro noi stessi. Rifiutiamo il lutto-non sappiamo più distaccarci da niente e da nessuno. La distanza è essenziale, perché ci riconduce dolcemente a noi stessi e alla capacità di autodeterminazione.
Nel lutto ebraico il pianto è incoraggiato: le lacrime sono il simbolo di un cuore che soffre e al termine del funerale tutti i presenti si lavano le mani in segno di purificazione. Se chiudo gli occhi posso ancora vedere un’anziana zia (oggetto degli scherzi di noialtre piccole nipoti), la sua casa in paese e la cucina che riceveva una luce stregata dal giardino.
Il lutto per lei era una specie di lavoro. Si vestiva di nero chiudendosi il vestito fino al collo appuntando sulla stoffa spille che oggi non si vedono più; poi, dopo aver sistemato una serie di ceri chiusi in contenitori color rubino cominciava a pregare sottovoce. Oggi ho una gran nostalgia di quel silenzio. Di una delicatezza profumata di fiori.
A ripensarci, quelle candele affilate sembravano un esercito schierato come i guerrieri di terracotta che avrei visto qualche anno dopo in Cina-un nugolo dell’amore. Qualcosa che trasmette una gran forza, perché piangere ci insegna a pensare.
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