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“Troviamogli un posto sicuro”. Così aiutava la fuga del condannato per mafia. Ecco le intercettazioni
09 Mag 2014 09:21

Parlano quasi sempre in codice. All’inizio il Libano e Beirut sono “L” e “B”, ma poi, col passare del tempo, il tono si fa più aperto e la capitale del Paese dei cedri viene chiamata espressamente col proprio nome. Una “spregiudicatezza”, quella di Claudio Scajola nelle telefonate intercettate dalla Dia, sottolineata anche dal gip di Reggio Calabria che nella sua ordinanza di custodia cautelare a carico dell’ex ministro ed altre sette persone parla proprio di una sempre “maggiore spregiudicatezza” nelle conversazioni con Chiara Rizzo, la moglie di Amedeo Matacena.

Il riferimento a Beirut è contenuto in una intercettazione tra i due. Nel colloquio, secondo gli investigatori, stanno concordando di spostare Matacena, latitante in Italia ma libero negli Emirati Arabi anche se a rischio di espulsione, in Libano, Paese che nel convincimento degli indagati dovrebbe garantire maggiore sicurezza al rifugio dorato dell’imprenditore ex deputato di Forza Italia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

“Stiamo parlando della capitale, giusto? Che inizia con la L”, dice la Rizzo, subito pronta a correggersi (“no, che inizia con la B”) quando Scajola la riprende “Beh, il paese con …”.

Ma in un’altra telefonata, l’ex ministro, parlando sempre con la Rizzo, si spinge più avanti: ”ti ricordi di Beirut?”. E poi passa a spiegare perché se ne deve ricordare: “Prova a concentrarti perché passa così… questi miei amici, quando sono andato a Beirut, poi sono venuti su… amici miei, l’ex presidente, hai presente?”.

Scajola continua a parlare e racconta alla moglie di Matacena: “ieri ho visto questo tizio e il discorso è venuto lì. Mi dice ‘noi siamo amici di là’, poi ho capito perché, perché Beirut è una grande Montecarlo e Dubai è una grande Montecarlo, tanto per essere chiari. Io vado a Roma prima perché domenica questo qui viene su, suo zio. Viene su lo zio e mi dice ‘stiamo a cena insieme’ e devo trovare… va beh, basta, hai capito più o meno… devo dirti delle cose e devo sapere delle cose, se tu lo desideri, in modo che io possa trasmettere giusto, punto”.

In un’altra telefonata, del 12 dicembre 2013, Scajola dice alla Rizzo: lo spostiamo in “un posto più sicuro e molto migliore, ma più vicino anche”. Non sa, l’ex ministro, che gli investigatori del Centro Dia di Reggio Calabria sono all’ascolto e fanno due più due, mettendo in fila tutti quei colloqui per giungere alla conclusione che Scajola sta operando per favorire la latitanza di Matacena alla cui moglie, scrive il gip, era completamente “asservito”.

Il 12 dicembre del 2013 Scajola chiama la Rizzo e la “conversazione – scrive il gip – riguarda lo spostamento di denaro da un conto corrente all’altro. Si denota l’asservimento totale dello Scajola alle necessità della Rizzo”.

Scajola, scrive il gip sulla base delle intercettazioni e delle indagini condotte dalla Dia anche con appostamenti e pedinamenti, ha “sfruttato le proprie relazioni personali” per aiutare Matacena. Nel corso del tempo, aggiunge il giudice, ci sono stati “spostamenti di somme di denaro per garantire la latitanza dei Matacena, attività dirette a rendere attuabile il pianificato spostamento di Matacena dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, luogo individuato da Scajola sfruttando le proprie relazioni personali”.

Per aiutare il latitante, dunque, sostiene il gip, ci sono stati contatti internazionali e politici di altissimo livello.

“La gravità dei fatti in specie quelli relativi alla schermatura delle società di Matacena e la precostituzione di condizioni a rendere impossibile l’esecuzione della sentenza nei confronti dell’indagato – scrive il gip – dimostra che ci sono stati contatti internazionali e politici di altissimo livello assicurati dalla facilità di movimento in Italia e all’estero degli indagati e delle persone che fanno parte dell’apparato di cui gli stessi si avvalgono”.


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