L’Aquila non dimentica. E come potrebbe rinunciare a ricordare quelle 309 vite spezzate a causa del terremoto.
A undici anni di distanza, la città si ferma, ancora una volta, nel solco del 6 aprile 2009. a stavolta, a causa del Coronavirus, è stata una celebrazione diversa. Nessuna fiaccolata, nessuna passeggiata commemorativa per le strade del centro storico. C’è una cosa che però non si modifica. Sono i rintocchi delle campane: 309, uno per ogni vita rimasta sotto le macerie.
In una piazza Duomo deserta, il sindaco Pierluigi Biondi è coinvolto in un clima surreale. E prende spunto proprio del “silenzio”per creare un parallelo tra il coronavirus e quella tragedia. “Il silenzio di questa notte ha il volto di chi abbiamo perduto, il respiro di una umanità che lotta contro una minaccia letale, ma quasi irreale nella sua non fisicità, perché materia dei laboratori di ricerca, perché patologia da ospedali. Allora, come oggi, piangiamo la morte avvenuta in solitudine, senza la consolazione dei propri cari”.
A illuminare la notte solo il fuoco di un braciere acceso da un vigile del fuoco, figura eroica di quei giorni (e non solo). “Sono trascorsi undici anni dalla notte più lunga e dolorosa della nostra vita – ha proseguito il sindaco Biondi – e oggi la ricordiamo nel silenzio assordante di Piazza Duomo, un silenzio che amplifica e aggiunge al dolore per i nostri cari, vittime del terremoto del 6 aprile 2009, il dolore per i caduti a causa del coronavirus. Il ricordo della nostra tragedia è rafforzato da un sentimento unico e solidale che accomuna l’intero Paese, perché qui, in questa piazza deserta si compie il riconoscimento istituzionale e collettivo del lutto dell’Italia e non solo”.