E’ di questi giorni la notizia che la ricostruzione dell’Aquila è nel mirino dell’Unione europea. L’europarlamentare danese Soren Sondergaard, deputato della Sinistra unitaria, ha infatti redatto un dossier circa l’utilizzo dei fondi europei dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Ha rilevato prezzi gonfiati nella costruzione dei nuovi appartamenti, scarsa qualità degli edifici, infiltrazioni mafiose negli appalti e colpevoli negligenze da parte delle autorità italiane e comunitarie. Il documento è stato presentato e discusso al Parlamento europeo giovedì 7 novembre: l’Italia rischia di dovere rimborsare 350 milioni di contributi europei.
La Protezione Civile non ha tardato a diramare una nota nella quale si enumerano svariate giustificazioni e, in particolare, viene espressamente detto: «È evidente a tutti, e lo è stato da subito dopo il sisma, che per la ricostruzione di L’Aquila (una delle città d’arte più ricche d’Italia e anche più vincolate) sono necessari decenni, anche guardando alle procedure complesse e ai tempi lunghi per il recupero architettonico e funzionale degli edifici: se si fossero costruite case destinate a durare pochi anni, già oggi rischieremmo di avere una nuova emergenza abitativa».
Che non fosse cosa da poco ricostruire L’Aquila, agli aquilani fu chiaro subito, come fu subito evidente che gli anni da trascorrere senza città sarebbero stati tanti, troppi e, infatti, tentarono di dirlo urlando e cercando di entrare in una città distrutta e ancora non ingabbiata il giorno 30 maggio 2009 e poi ancora a Roma il 16 giugno dello stesso anno.
La Protezione Civile, quindi, giustifica la costruzione del famoso progetto C.A.S.E. (19 insediamenti abitativi) con la necessità di dare un alloggio duraturo agli aquilani, quelli del centro storico, che dovranno attendere molti anni per rivedere le loro abitazioni. Detto così non fa una piega. Ma i residenti del centro storico dell’Aquila non erano certamente 18.000 (quanti ne potrebbe contenere il Progetto C.A.S.E.) ma circa 10.000. Questo è il primo dato che non torna: infatti in questi insediamenti abitativi “non temporanei” o meglio “diversamente temporanei” abitano anche aquilani che riavranno la loro casa a breve, anzi in molti si sono già trasferiti. E’ evidente, quindi, che per questi non sarebbero stati necessari degli alloggi duraturi, ma removibili e temporanei. E non è tutto. Nell’agosto 2009 i cittadini del centro storico e tutti coloro che dal terremoto avevano avuto danni ingenti sull’abitazione (classificazione “E”), furono chiamati ad un censimento dei “desiderata” riguardo le esigenze abitative. Molti degli abitanti del Centro Storico, consci della loro situazione ancora fumosa (come lo è oggi), optarono ovviamente per il contributo di autonoma sistemazione o per un’abitazione ad affitto concordato che permettesse loro una vita leggermente più agiata che i 50 metri quadrati di un alloggio “diversamente temporaneo”. Perché il progetto C.A.S.E. tutto è tranne che temporaneo riguardo la costruzione, ma quando ci abiti non puoi che sentirti temporaneo: in una C.A.S.A. dove vigono regole strettissime che, tra l’altro, oltre a costringerti a vivere per anni in pochi metri quadrati lontano dalla città, ti obbligano a non fare alcuna modifica e, fino a poco tempo fa, persino a comunicare assenze prolungate. E non sto scherzando, leggete qua.
L’ultima osservazione riguarda gli abitanti di centri storici minori (per grandezza), per esempio Onna, ma lo stesso potrebbe dirsi per altri paesi del cratere. Gli abitanti vivono in moduli abitativi provvisori, temporanei in tutto e per tutto, e le loro abitazioni sono ben lontane dalla ricostruzione. Anche in quei paesi ci sono case antiche, vincolate, monumenti eccetera. Eppure per loro non è stata prevista un’abitazione duratura (progetto C.A.S.E.), come a dire, per gli aquilani sì per loro no, anche se i tempi sono gli stessi.
Quindi diciamo la verità: quegli insediamenti abitativi convenivano, nel senso erano convenienti, per qualcuno che persino ne rideva, non certo la scelta migliore per una popolazione oramai dimenticata.
L’unico aiuto veramente conveniente sarebbe stato un progetto per una ricostruzione non utopica. Lo chiedevamo il 7 luglio 2010 a Roma e ne spiegammo le ragioni in parlamento: legge sul terremoto e finanziamenti certi anche attraverso una tassa di scopo. Se ne avete voglia sentite questa illuminante conferenza stampa.
Stanchi di non vedere accolte le nostre giuste istanze chiediamo di non essere indicati come una popolazione che ha accettato tutto senza rendersi conto, o peggio lagnosa e ingrata: siamo qui, siamo tanti, consapevoli, preparati e pronti a lottare ancora per riavere la nostra città partecipando a tutti i processi per restituirla all’Italia intera.
Sta arrivando il quinto inverno sull’Aquila.