Era il 18 giugno 2005 quando due giovani cerignolani iniziarono un’avventura con il nome di Safarà.
Come dichiarato da Nicola Lopane: “Il Safarà era nato come un progetto a termine ed il suo nome era ispirato al locale che compariva e scompariva nelle avventure di Dylan Dog”.
A differenza del luogo non luogo delle avventure di Dylan Dog,in 15 anni, il Safarà è divenuto un punto di incontro fondamentale per i cittadini cerignolani e non solo.
Cerignola era un centro abitato conosciuto negli anni passati solo per la cronaca e grazie a una piccola realtà creata da due ragazzi, si è accesa una fiamma di speranza per un riscatto culturale e sociale di un territorio.
Il Safarà è un progetto più che un semplice locale che negli anni e con un rischio d’impresa enorme sta riuscendo nel diventare un luogo importante per chi vuole scappare dalla routine.
In 15 anni, Nicola Lopane, ormai unico dei due a portare avanti il progetto, è riuscito a creare un punto di incontro importantissimo che può essere definito “salotto culturale” grazie anche alle rassegne di musica indipendente, presentazioni di libri e mostre che hanno ormai superato i 10 anni di vita.
Lo stesso Nicola ha dichiarato che il tutto è iniziato dalla voglia di scuotere un po’ il piattume che c’era e che è ancora presente. Quello che sconvolge un po’ e che è molto significativo per un Paese in cui le istituzioni snobbano la cultura è rappresentato dal fatto che in 10 anni, il Safarà ha creato più eventi delle amministrazioni comunali che si sono susseguite.
Un salotto culturale più che un semplice locale.
Tantissimi sono stati gli artisti protagonisti al Safarà, durante le rassegne di musica live.
Per citarli tutti servirebbe un’intera giornata.
Solo per citarne alcuni: Serena Brancale che da lì a pochi mesi sarebbe salita sul palco del Festival di Sanremo, una band che ha smosso e non poco le acque della musica italiana alcuni anni fa, ossia i napoletani Le strisce di cui Davide Petrella, frontman e autore dei testi, collaborò con Cesare Cremonini fino a qualche anno fa.
I nomi sono tantissimi e citarli tutti vorrebbe dire annoiarvi, ma di sicuro quello che posso dirvi e di provare almeno una volta la sensazione di entrare in un mondo più che un semplice locale che si chiama Safarà: respirare aria sincera dando spazio ai tanti artisti di parole, musica, note e immagini che altrove non riuscirebbero a trovare spazio.
Come lo stesso Lopane dichiara “la difficoltà sta nel creare lo zoccolo duro che segue determinati appuntamenti non per moda ma per interesse .
La soddisfazione più grande è quando i miei clienti vengono in cassa a pagare il conto e mi dicono quale artista li è piaciuto e quale no. Ciò vuol dire che c’è attenzione.”
Nicola Lopane e il suo giovane staff è riuscito in un piccolo grande miracolo quello cioè di avere non dei semplici clienti ma un pubblico che riempiono di vita Piazza Matteotti durante le rassegne di musica, le mostre e le presentazioni di libri e non solo.
Il Safarà è divenuto quel porto sicuro dove poter crescere culturalmente, incontrare persone che scappano dal piattume, quelli che senza vantarsi dei titoli di studio contribuiscono alla crescita sociale e culturale di quella grande famiglia e senza neanche pensarlo, Nicola Lopane è riuscito a creare.
La scossa culturale nata dal Safarà.
In un Paese dove gli articoli devono essere corti perché il livello di attenzione cala e dei giornali che non si acquistano più, della musica che ormai è ostaggio dei Digital store e non esce mai fisicamente su un palco, il Safarà è riuscito a dare una scossa agli animi dormienti e a dare una scelta agli affamati di cultura.
Avendo frequentato per anni quel “non luogo” divenuto “luogo” posso di certo comunicarvi che ne soffro la mancanza visto che ormai vivo lontano chilometri da Cerignola.
Analizzando il tutto, è incredibilmente giusto che esista il Safarà e lo dico senza cercare di far piacere allo staff e al suo fondatore.
Chiediamoci quanti luoghi esistono in Italia per la cultura: pochissimi.
Nicola Lopane è riuscito a prendere la cultura, che in Italia e negli anni e difficile trovare in giro e ha creato un luogo, fisico, dove poter crescere culturalmente e umanamente. Ripeto: non è un semplice locale.
Il Safarà come modello per le imprese culturali.
In un 2020 che vedrà la vera musica indipendente morire, tutti i live Club e locali che intendono creare qualcosa che culturalmente possa valere dovrebbero analizzare quel “non luogo diventato luogo” per un motivo semplice: qualcosa di miracoloso c’è se il Safarà è riuscito, combattendo ogni giorno a portare la cultura indipendente negli occhi e nelle orecchie di tanta gente, creando interesse.
Forse i locali e i live club dovrebbero imparare dal Safarà tante cose: ad esempio a non trattare una persona come fosse un cliente ma uno di famiglia, un amico di comitiva con cui confrontarsi e crescere (perchè non si smette mai di crescere).
Forse chi vuole “portare” la musica dal vivo dovrebbe pensare ad educare la gente all’ascolto, a creare curiosità ed è quello a cui ho assistito per anni al Safarà.
Insomma, il Safarà dovrebbe essere studiato da quelli che vogliono fare qualcosa di serio e duri seriamente nel tempo sul proprio territorio anziché pensare ad aprire una semplice attività commerciale o una startup che non serve a nulla.
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