La vicenda incresciosa che ha riguardato la Reggia di Caserta avrà fatto sussultare dalle tombe coloro che a metà settecento l’hanno voluta, progettata e costruita. Il primo sovrano del regno del sud Carlo III, volle darsi una residenza che annunciasse al mondo la nascita della nuova dinastia reale, e si rivolse per edificarla a Luigi Vanvitelli (Van Wittel), un grande architetto di origini olandesi, che edificò la più imponente reggia del mondo, con un grande acquedotto capace di dare vita ad un sistema di cascate artificiali, in quella epoca mai viste, vanto dei Borbone di Napoli, e poi per le alterne vicende politiche dell’epoca, orgoglio Gioacchino Murat che vi risiedette nel breve tempo del suo regno in epoca napoleonica.
Come sarà stato possibile, con un retaggio così importante, riportare il regale palazzo, agli onori della cronaca di questi giorni (si fa per dire), per una contesa provocata da alcuni sindacatini minoritari, preoccupati per la supposta insicurezza del complesso, a causa della abitudine del sovraintendente a restare nel suo ufficio fuori dell’orario di lavoro. Bisogna essere fuori del mondo per arrivare a queste esternazioni che sono sembrate fatte da alieni impudenti. Persino il Presidente del Consiglio si è scomodato, e veemente ha ricordato che “la pacchia è finita”.
La reggia era scaduta di lignaggio già con i Savoia, e la Repubblica certamente non ne ha saputo risollevare le sorti. La struttura ha subito un progressivo degrado che ha minato anche pericolosamente la sua stabilità. Nel tempo poi non sempre è stata fruibile al pubblico, che tuttavia non ha mai cessato l’interesse per il regale monumento.
Nonostante l’incuria che ha fatto raggiungere l’opera di Vanvitelli al quattordicesimo posto più frequentato da turisti, di volta in volta i governanti si son posti il problema di come sottrarre all’oblio la prima residenza di Carlo III. Ora si spera che dopo le stucchevoli dichiarazioni bizzarre di questi isolati sindacalisti di Caserta, lo sdegno che hanno suscitato, possa essere la occasione per decidere soluzioni importanti per rimetterla al centro dell’interesse mondiale come merita un lascito così importante dei nostri avi, insieme ai tanti altri disseminati in tutta Italia.
Bene ha fatto recentemente il governo a nominare nuovi sovraintendenti con concorsi internazionali, ma questi manager della cultura hanno bisogno di mezzi copiosi che in verità ancora non si vedono. Gli enti locali le organizzazioni sindacali ed imprenditoriali devono essere alla altezza della importanza economica e morale di questi beni. Non è un caso che di volta in volta esplodono qui e lì comportamenti non responsabili.
Si può dire che ben rappresentano la incultura e lo scarso senso civico nazionale, conseguenza del cattivo esempio provocato dalle pubbliche autorità per l’abbandono perpetuato nel tempo. Insomma il detto in latino: “quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, con l’allusione alla distruzione e saccheggio di Roma provocata dalle orde barbariche, dopo aggravata dalla voracità della potente famiglia Barberini ai danni della città, ben si attaglia a ciò che è accaduto nel tempo per i nostri abbandonati monumenti.
Ciò che non sono riusciti per a fare i poteri pubblici per l’incuria, hanno continuato nella distruzione la indifferenza ed il cinismo delle realtà civili. Ci piacerebbe allora che Renzi, più che ad espressioni colorite, ricorresse al seguente incitamento: “ricominciamo a ricostruire insieme il futuro del nostro paese. Basta con la ricerca di soluzioni solitarie che portano inevitabilmente al fallimento ed alla deviazione; la strada da prendere è quella della collaborazione e delle mete collettive. Il popolo italiano così riscoprirà le sue virtù”.
In questo modo magari si potrà rifare le graduatorie delle urgenze del Paese. Tra queste urgenze c’è la reggia ed i tanti monumenti che hanno bisogno di rispetto, ma anche di tante risorse per riorganizzarli ai fini del nostro turismo e della nostra identità.