Anche questa sera tornano su Rai1 le vicende della famiglia Ferraro, una tipica famiglia allargata con un intreccio sempre più fitto di relazioni e sentimenti. Sfide importanti che dovrà fronteggiare la famiglia, apparenti certezze che verranno messe in discussione, soddisfazioni e delusioni, gioie e dolori, in una parola: emozioni. A dirigere il racconto di vita di “Tutto può succedere”, giunta alla seconda stagione, troviamo Lucio Pellegrini, firma indiscussa di “I liceali”, “Non pensarci – La serie” e “Romanzo siciliano” per citare alcuni suoi capolavori.
Chi è Lucio Pellegrini oggi?
E’ un regista che è passato attraverso tante esperienze e pian piano ha capito cosa di fatto riesce a raccontare meglio, ovvero la commedia drammatica, un genere che ama molto, quello cioè di riuscire a mescolare i toni, da quelli più divertenti a quelli più drammatici con naturalezza, un po’ come la vita di ciascuno di noi.
Sei un regista che ha dato vita a un successo dopo l’altro, quando hai capito che stare dietro la macchina da presa sarebbe stato il tuo mestiere?
Ho iniziato a scrivere per il piccolo schermo quand’ero molto giovane; ho pensato per lungo tempo che avrei fatto lo sceneggiatore. Ho poi cominciato a girare piccole cose ed è proprio in quei momenti così divertenti che avrei dovuto assecondare questa mia passione. Ho avuto la conferma che avrei potuto farcela quando ho girato il mio primo film. Il mio mestiere è un lavoro che finché non lo provi, non puoi dire se sei in grado di svolgerlo o meno e posso assicurarti che iniziare a farlo non è così semplice, è una macchina molto complessa.
“Ora o mai più” è stato uno dei tuoi primi film. Racconta la formazione politica e sentimentale di un venticinquenne che scopre ed esplora la realtà dei centri sociali. Un film toccante e molto drammatico. Cosa ti ha spinto a realizzarlo? Come sono, secondo te, i ventenni di oggi?
In quel periodo, mi piaceva raccontare quello che avevo visto accadere ad alcuni amici un po’ più giovani di me, una realtà molto diversa rispetto a quello che noi tutti potevamo immaginarci, un periodo che ha segnato la formazione di più di una generazione. Ho cercato di raccontare le tensioni che percorrevano un mondo giovanile orfano del ’68, bisognoso di esprimere il proprio NO alle ingiustizie e, al contempo, in difficoltà nel trovare il modo per farlo. I giovani oggi sono sempre più connessi in un mondo sempre più virtuale perché forse sempre più frammentati, alla ricerca di valori aggreganti di un passato che sembra non tornare più purtroppo per loro.
Una fiction molto interessante è “Non pensarci” in cui dirigi magistralmente Giuseppe Battiston e Valerio Mastandrea. Ci parli di vita, di sogni, ma anche di crisi esistenziali e di responsabilità. C’è o ci sarà un momento nel corso della nostra vita che potremo dire davvero “Non pensarci”?
E’ più un auspicio che ahimè una realtà; ci sono momenti nella vita in cui ragioniamo più di testa che non di cuore e invece dovremmo fare il contrario a volte. Accade molto spesso che meditare troppo sia sbagliato e che possa portarci a scelte non troppo felici per noi; il mestiere che ho scelto mi porta a usare l’intelligenza dell’istinto il più delle volte.
Una fiction di successo da te diretta è “I liceali”, nella quale ci parli della vita di un gruppo di studenti che frequentano un prestigioso liceo classico della capitale. Per quali motivi per te questa serie tv ha avuto così tanto successo tra i giovani? La colonna sonora è stata “Libero” di Fabrizio Moro. Oggi i giovani da cosa vogliono sentirsi liberi?
Probabilmente siamo riusciti a trovare un linguaggio, uno sguardo, dei sogni e una forma di realismo nei quali il pubblico credo si sia riconosciuto, soprattutto quello più giovane e per un regista riuscire ad arrivare ai più giovani è una grandissima soddisfazione. Penso che oggi i giovani si sentano più liberi di quello che in realtà sono; mi riferisco in particolare ai complessi meccanismi dei social che solo apparentemente rendono liberi, in realtà non credo sia così.
Ora stiamo vedendo su Rai1 la seconda stagione di “Tutto può succedere”. Perché hai deciso di farne un sequel?
E’ una fiction che ha raccontato un frammento di vita di una grande famiglia con tantissimi personaggi ancora vivi e bisognosi raccontare ancora un pezzetto del proprio cammino. Ecco che ci siamo messi al lavoro nuovamente con un team davvero straordinario per questa seconda stagione!
Ci racconti dei Ferraro, una numerosa famiglia che vive nei pressi di Fiumicino. Che tipo di famiglia è?
E’ un’atipica famiglia italiana, numerosissima ma molto eterogenea, di età molto diverse e altrettanto figli molto diversi l’uno dall’altro, come accade molto spesso nelle famiglie ma con un grande sentimento di unione che è quello della familiarità, quello dell’essere parenti. Noi cerchiamo di raccontare proprio questo tipo di relazione che si sviluppa all’interno della famiglia, luogo in cui si parla sempre meno rispetto a quello che si pensa, ci si capisce senza dirsi niente, si litiga sul nulla ma in fondo c’è sempre un profondo sentimento di armonia che crea un legame speciale.
Per te cosa rappresenta la famiglia?
Credo che sia l’equilibrio di base nel mondo in cui viviamo; credo anche molto nelle famiglie allargate e sono convinto che anche tra amici si possano creare rapporti di familiarità. Penso che il nostro mondo, per riuscire a sopravvivere, debba sempre più far sì che gli uni si avvicinino agli altri con atteggiamenti di solidarietà e di lealtà.
Hai scelto un cast stellare, da Giorgio Colangeli a Camilla Filippi, da Maya Sansa ad Alessandro Tiberi, da Pietro Sermonti a Matilda De Angelis, solo per citarne alcuni. Perché hai scelto proprio loro?
Posso dirti che è stata una lunga ricerca quella di trovare i protagonisti di “Tutto può succedere”, ci abbiamo messo sei mesi! Alla fine però è come se ci fosse un solo attore giusto per ogni ruolo e, per mia fortuna, credo di averlo incontrato attori intelligenti e di grande talento!
“Tutto può succedere” è la canzone dei Negramaro cantata da Giuliano Sangiorgi, scritta insieme al musicista e compositore Paolo Buonvino. Il testo ci parla di vita, una vita che va inseguita e mai lasciata andare perché l’esistenza che non assaporiamo non tornerà più. E’ davvero così?
Certamente sì! Credo che ogni giorno della nostra vita sia un giorno speciale, ecco che deve essere vissuto pienamente, vivere senza limitarsi a sopravvivere!
Cosa vorresti arrivasse della fiction al pubblico?
Spero di essere riuscito a restituire, almeno in parte, a ogni singolo spettatore quei toni, a volte drammatici e malinconici, a volte sereni e felici, che sono propri della nostra esistenza. Mi auguro di aver dato uno spaccato di vita nel quale ognuno di noi possa riconoscersi. L’emozione è parte integrante della nostra vita, spero di essere in parte riuscito a restituirla.
Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Qual è il tuo rapporto con la parola Sud?
Io sono nordico, ma sono profondamente attratto dal Sud; mi piace il mare, il calore, la genuinità e la bellezza unica.
Nuovi progetti?
Spero di riuscire a concretizzare l’idea di fare un altro film per il cinema, ma per scaramanzia non dico nulla!