Suscitano ribrezzo gli insulti e l’ilarità per le foto del matrimonio di Antonio Razzi, emigrante abruzzese in Svizzera ad appena 17 anni nel 1965 e sposatosi con una ragazza spagnola alla fine degli anni ’60.
Così erano i nostri emigranti, che vi piaccia o no, e meritano rispetto.
Partivano per fame e per un futuro migliore, ed erano poveri, ingenui, ignoranti, con tanta voglia di lavorare e farsi strada, classe popolare di quel meridione sfruttato e offeso, dalla quale chi insulta Razzi si sente alieno, superiore, altro.
Ascoltavano Mino Reitano o Nicola Di Bari e si commuovevano se pensavano all’Italia che li aveva liquidati, a volte mandandoli a morire come a Marcinelle. Così erano quei ragazzi che si rovinavano la salute in lavori che gli svizzeri o i belgi non volevano più fare, e si pettinavano e vestivano a metà strada tra una moda che orecchiavano e una tradizione paesana che incombeva su di loro.
È presumibile che la maggior parte delle irrisioni al parlamentare di Forza Italia vengano da persone che si considerano di sinistra. È il segno, il milionesimo segno, della raggiunta estraneità da quella classe popolare alla quale dovrebbero appartenere o sentirsi di appartenere.
Non è importante come l’abbia sfangata Razzi, è importante chi era. Forse il politico opportunista e mille volte criticabile, ma così ingenuo da palesarsi nel suo cinismo nasce anche da quella frattura.
Vi siete accecati e vi siete persi, non c’è più nulla da fare per voi.
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