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Quando Khomeini disse: “Uccidere un curdo non è peccaminoso”.
21 Mag 2013 08:46

Si svolgeranno le elezioni presidenziali in Iran il prossimo 14 giugno ed è già cominciato lo scontro tra gli ultra conservatori, appoggiati dall’attuale presidente Ahmadinejad, e gli altri schieramenti. Tra quest’ultimi il famoso movimento Onda verde, capeggiato da due riformatori, Mir-Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, tra i protagonisti delle manifestazioni contro i brogli elettorali nel 2009, ancora agli arresti domiciliari.

I riformisti iraniani da tempo sono esclusi dalla vita politica. Ma questa volta potrebbe essere diverso per due motivi.

Il primo: la disastrosa situazione economica che sta attraversando il paese. Il Rial, la moneta iraniana, sta subendo una forte svalutazione: nel 2012 aveva perso l’80% del suo valore rispetto al dollaro, e questo implica l’aumento dei prezzi.

Il secondo: la divergenza interna tra gli Ayatollah. Basti pensare alla questione nucleare Iraniana. Nel febbraio scorso il Ministro degli Esteri iraniano Ali Akhbar Salehi, aveva dichiarato la volontà di Teheran di rispondere positivamente alla comunità internazionale e in particolare i paesi 5+1 per una soluzione al problema. Ma subito è arrivata una secca smentita da parte della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei che, appellandosi al senso di orgoglio nazionale, ha sottolineato come un cedimento alle condizioni imposte da attori esterni sia un atto di sottomissione.

Finora i primi candidati sono Ali Akbar Velayati, ex ministro degli Esteri durante la guerra Iraq –Iran e attuale consigliere conservatore della Guida suprema per la politica estera; Ali Larijani, presidente del Majlis (Parlamento); Efsandiar Rahim Manshaei collaboratore del presidente Ahmadinejad; il tecnocrate e commerciante dei pistacchi Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, soprannominato kuseh, (lo squalo), per la poca barba; l’anche ex presidente della Repubblica, Mohsen Rezai; Mohammad Baqer Qalibaf, il sindaco di Teheran.

 

Si sa che l’Iran è un mosaico di popoli ed etnie, tra cui Arabi, Armeni, Azeri, Beluci, Qashai, Turkmeni e Curdi, quest’ultimi sono 8 milioni che vivono nel kurdistan dell’Iran privi di ogni libertà. La lotta del popolo curdo in Iran risale agli inizi degli anni trenta. Il 22 gennaio 1946 i Curdi cominciarono in Azerbaijan a proclamare la Repubblica curda di Mahabad, presieduta dal giudice Qazi Mohamed e sopravvissuta solo 9 mesi.

Non era una impresa scellerata o irrazionale: i Curdi, nel tracciare i confini della loro Repubblica, ricalcano – almeno nella parte iraniana- quelli tracciati dal Trattato di Sevres con la Turchia (1920), che – dopo le numerose rivolte curde nei decenni precedenti – finalmente riconosceva al popolo curdo l’autodeterminazione e l’indipendenza.

Ma il trattato di Sevres fu tradito da quello di Losanna nel 1923. Proprio il 24 luglio del 1923 il Kurdistan fu diviso arbitrariamente tra quattro Stati: Iraq, Iran, Turchia e Siria.

Khomeini, dopo il suo ritorno in Iran nel 1979 e la creazione della Repubblica Islamica, presto si rivelò più repressivo e ancora più feroce nei confronti delle minoranze rispetto allo Scià.

Khomeini era ancora a Parigi quando promise ai curdi che, una volta tornato in Iran, avrebbe concesso l’autonomia alla popolazione curda, invece, non appena arrivato in Iran nel 1979, ha cominciato a massacrare i curdi con tanto di omicidio del segretario del partito democratico curdo dell’Iran Dr. Abdulrahman Qasmlu e del suo successore Dr. Sharaf Kandi.

Non solo, l’Ayatollah Khomeini disse testualmente “Uccidere un curdo non è peccaminoso”.


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