Proiettili a Ciro Corona, creatore dello Sportello Anticamorra a Scampia; di R-Esistenza Anticamorra, della cooperativa che ha rilevato e messo a onesto frutto un fondo agricolo requisito alla mafia; che è stato l’anima del recupero della ex Ipsia, l’istituto scolastico di Scampia che era diventato il più grande mercato all’aperto di droga in Europa ed era usato dai tossicodipendenti per bucarsi e, ogni tanto, morirci.
Liberato da una dozzina e più di camion di monnezza, da più di 40 bidoni di siringhe, ricostruito quasi da zero (era stato letteralmente decorticato, per rubare persino i fili della luce e i cessi), oggi l’inferno ex Ipsia è diventato paradiso per i bambini, i ragazzi, le donne, la gente di Scampia che va a studiare e comporre musica, apprendere artigianato d’arte, fare sport, pilates, doposcuola…
Un miracolo compiuto da volontari, con quel che si trovava da riciclare, spesso nelle discariche, e tanto, tanto lavoro, tanto, tanto amore, tanta, tanta fiducia. E l’aiuto, va detto, del Comune, grazie al sindaco de Magistris e alla sua attivissima assessora alle politiche giovanili. E oggi, quel paradiso di chiama Officina delle Culture Gelsomina Verde, dal nome della innocente vittima di guerra di camorra che fu rapita, seviziata e bruciata, perché non diceva dove fosse il suo ex fidanzato e non credettero che non lo sapesse.
Non sanno fare nemmeno i mafiosi, ‘sti guapp’e cartone! Ma come, non sanno che la regola prima del crimine organizzato, fiancheggiatore della parte più corrotta dello Stato (che da patti Stato-mafia in Sicilia e a Napoli nacque), è che puoi colpire chi è isolato? Per questo le azioni dei mafiosi contro chi li avversa, nella società, sono sempre precedute da campagne diffamatorie, con il volenteroso aiuto, spesso, di quelle frange delle istituzioni delegate agli affari sporchi e a gestire le cosche “di servizio”.
Il crimine organizzato, in Italia, è parte integrante del sistema di potere politico ed economico (sentito mai qualcuno alla Borsa di Milano o in Parlamento, parlar male dei soldi e dei voti che arrivano dalla mafia?) che fece nascere questo Paese. Ovviamente, parliamo della parte più compromessa (nemmeno il male è perfetto, altrimenti non avremmo avuto giganti come Chinnici, Falcone, Borsellino, La Torre, Vassallo, Livatino e, purtroppo, tantissimi altri martiri).
Questo significa che la mafia ha bisogno di consenso sociale. Un consenso che poggia su un sistema di assistenza marcio, pagato in dignità calpestata…, come vi pare, ma che fa sopravvivere, nella merda, ma sopravvivere, tanta parte di quel Sud a cui lo Stato nega il minimo dei diritti, per aggiungere privilegi a chi ne ha già troppi e consentire al braccio mafioso di gestire economia e voti, con la sottomissione coloniale.
Ma oggi, il consenso, è tutto per Ciro, i tanti Ciri. Il mondo cambia, signori miei. E qualche volta, persino in meglio. E sono sempre di più quelli che non si piegano e la dignità con la svendono per fame o per fare lo schiavo da cortile, invece che da campo.
Quindi, mandare dei proiettili a Ciro, è proprio da coglioni: Ciro non è un giovane, coraggioso uomo: Ciro è moltitudine; i tanti… “Ciri” (e dai, lasciatemela passare!) che stanno facendo di Scampia e di tanta parte del Sud la negazione e l’opposto di Gomorra non sono degli indifesi solitari.
Ognuno di loro è moltitudine. Noi siamo la loro moltitudine. Le centinaia di studenti universitari calabresi di Pedagogia della R-Esistenza gemellati all’Associazione di Scampia e che insieme operano sono la loro moltitudine.
I meravigliosi magistrati, questori, dirigenti della Polizia e Carabinieri che sostengono, con azione quotidiana e la loro presenza, il miracolo della Gelsomina Verde sono moltitudine. Il Comune di Napoli è, anche fisicamente, con il sindaco, gli assessori, presente e partecipe alla vita dei Ciri di Scampia (non rompete: Ciro al plurale, e così è: è moltitudine o no?).
Fossi un boss della camorra, delle due, l’una: se la cazzata dell’idea di minacciare Ciro fosse venuta da me, mi sentirei fischiare le orecchie per i vaffanculo dei miei colleghi capi-cosca: “Ue’, ma si’ scem! Nun ‘o ssaje ca Cire nun è ‘nu guaglion, è ‘nu popole? Ma ci vuliss fa’ pass’ nu uaje?”.
Se (più difficile…) la cosa è frutto di iniziativa personale di un rampante guappo aspirante boss, allora lo chiamerei, gli dare una scopa e gli direi: «Vuo’ fa’ carriera? E accummenge cu’ a scopa; e si ‘o ffai buono, te facimme addeventa’ scupone!»
Ciro lo conoscete. Anche meglio di noi (la moltitudine…), perché è cresciuto a Scampia, con voi. Sapere tutto di lui. E pensate di intimidirlo così? Mah… A ragionarci sopra, dovessi dire chi può essere l’autore di questa mossa (un vero e proprio errore “politico”), mi viene in mente Gennarino Parsifal: ve lo ricordate, quando Troisi era ancora uno dei tre della Smorfia?
Buon anno, Ciro. Un abbraccio. Non sono gran che con le pernacchie, ma sono sicuro che fra di voi uno capace nella grande arte tonitruante c’è: risponda a nome di tutti noi.
E ai tre-quatro che leggono queste pagine: se volete, scrivete sotto nome e cognome (di anonima c’è già la camorra) e quattro paroline: “Io sto con Ciro”.
Che la vedano, lorsignori, la moltitudine.
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