La Commissione europea ha di recente pubblicato la sua valutazione del regolamento sul controllo della pesca. La relazione, che di fatto, fornisce una prima risposta alla risoluzione Thomas, approvata dal Parlamento Europeo lo scorso ottobre 2016, pur affermando che vi è stato un generale recepimento degli obblighi principali fissati dal regolamento, ha, purtuttavia, evidenziato che all’interno dell’UE sono emerse situazioni irregolari, in quanto molti Stati membri devono ancora attuare piena attuazione agli obblighi previsti.
La Commissione attribuisce la causa di tale insuccesso, molto semplicisticamente, ad una serie di carenze del testo in corso che ne ridurrebbero la sua efficacia.
Ad avviso del RUO – Centro di ricerca di Palermo – si tratta di una presa d’atto di enorme importanza da parte della Commissione Europea della linea intrapresa per garantire la piena attuazione della Politica Comune della Pesca.
E, sebbene Karmenu Vella, Commissario per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, abbia dichiarato che il regolamento di controllo nell’UE sia stato necessario per rafforzare una cultura di conformità alla politica comune della pesca, appare chiaro che l’attuale quadro legislativo, perlomeno, non è del tutto adatto allo scopo.
Le carenze nell’attuazione regolamentare, evidenziate dal rapporto di valutazione, riguardano principalmente le sanzioni e il sistema di punti, il seguito delle infrazioni, lo scambio e la condivisione dei dati, la tracciabilità, ma anche il monitoraggio e la cattura, per non parlare della preoccupante problematica relativa all’obbligo di sbarco, e, infine, la mancanza di chiarezza in alcune disposizioni. Tutti, elementi considerati come un ostacolo all’efficacia dell’intero sistema di controllo della pesca.
Già sin dalla fine del 2015 non abbiamo mancato di evidenziare come la difformità di applicazione delle norme europee in tema di sanzioni per IUU avesse prodotto una situazione di disparità di trattamento tra gli attori della pesca degli Stati Membri, produttivo di gravi distorsioni della concorrenza all’interno del Mercato Europeo.
I nostri studi, fondati su evidenze scientifiche, avevano sollevato, in tempi non sospetti, un grido d’allarme già reso pubblico con l’esposizione a Malta il 4 e 5 Febbraio 2016 dello studio svolto, con un poster che ne rappresentava la sintesi, dinanzi al presidente di EAFE European Association of Fisheries Economists Bertand Le Gallic, al direttore generale João Aguiar Machado, al presidente di Europeche, Javier Garat e al presidente del Medac, Consiglio consultivo per il Mediterraneo, Giampaolo Bonfiglio alla Conference on Economic Advice in Fisheries Management organizzata dalla DG Mare in collaborazione con EAFE.
Non ci siamo fermati a quel momento e siamo tornati a rappresentare il problema sin dentro la Commissione Europea con un’interlocuzione avvenuta lo scorso giugno 2016 con il responsabile per la pesca illegale del Team del Commissario Vella e, infine, dinanzi la stessa DG Mare lo scorso novembre 2016.
Dispiace notare che, nonostante le nostre osservazioni e, molto di più, a dispetto delle stesse risultanze della Commissione, presenti in questo ultimo rapporto, che ci da piena ragione pubblica, la Commissione continui a portare avanti iniziative che vanno nella direzione opposta come la recente Dichiarazione di Malta.
Se da una parte, infatti, si assiste alla preoccupante contrazione del prodotto ittico nel Mediterraneo, dall’altra le scelte della cd “Politica Comune” sembrano andare, altrettanto rapidamente, verso la, conseguente, contrazione ed “ estinzione” indiscriminata di un settore economico strategico per i paesi del Mediterraneo come la pesca. Tutto ciò in pieno contrasto con il dovere della Commissione, nel rispetto dei Trattati, di vigilare per il mantenimento dell’equilibrato gioco dei fattori economici in campo.
Chi ripagherà gli operatori della pesca colpiti direttamente da questo procedere in avanti per sbagli o miopi tentativi?
Chi, a parte dire, ( toh!) gli effetti non sono quelli voluti scusate, si assumerà la responsabilità degli errori commessi?
Si profilano all’orizzonte per gli operatori del settore, specie per quelli italiani, tempi più oscuri e bui di quelli già trascorsi, tempi che vedranno l’interdizione totale di ampie aree di mare e l’aumento dei controlli anche per i piccolissimi operatori della pesca artigianale la cui attività, è dimostrato, quanto poco sia incidente nel depauperamento della risorsa ittica.
A quale prezzo? La scomparsa di tradizioni, mestieri, intere comunità di lavoratori e abitudini alimentari che hanno fatto grande e salutare la dieta mediterranea.
Chissà se la Commissione Europea quando presenterà i risultati della valutazione agli Stati membri, al Parlamento europeo e alle parti interessate per individuare soluzioni congiunte ed efficaci, penserà di aumentare i controlli, piuttosto, sulla delocalizzazione delle grandi imprese armatoriali che hanno spostato i loro interessi nelle acque sempre più vulnerabili e incontrollate dei mari del sud del mondo per soddisfare la domanda di un consumatore sempre meno educato alla varietà offerta dalla biodiversità del nostro mare e sempre più indotto al consumo delle solite 5/10 specie target.
È di pochi giorni fa, infatti, la segnalazione che un peschereccio di Mazara del Vallo è stato sorpreso in Sierra Leone accaparrarsi pinne di pescecane in totale spregio alle norme europee, senza che alcun Ente esponenziale abbia pensato apertamente di dissociarsi con chiarezza pubblica da queste condotte criminali.
Chissà, infine, se la Commissione Europea penserà di eliminare le concentrazioni di quote nelle mani di poche imprese armatoriali in piena violazione delle norme antitrust o valuterà a dovere l’impatto ambientale dell’ammassamento degli allevamenti in mare dei tonni?