C’è un altro Natale in tempi di crisi. Non quello delle lunghe tavolate imbandite di leccornie, colme di allegria e di regali più o meno costosi, ma quello della povertà, della solitudine e della disperazione.
C’è chi, come Bruno, di 52 anni, e la sua famiglia, è costretto a partecipare al ‘pranzo dei poveri‘ nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma, organizzato come ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio, e subisce la crisi che gli ha fatto chiudere il bar di cui prima era titolare.
Chi invece ne rimane annientato e decide di farla finita per un contratto di lavoro non rinnovato, come Stefano, 45enne che dall’89 era banchista al Cafè de Paris, storico locale della “Dolce Vita” in via Veneto, e si è ucciso lanciandosi nel vuoto.
O come Fausto di 28 anni, originario di Vaio Basilicata (Potenza) che si era dato fuoco nei giorni scorsi per la disperazione di aver perso il posto di lavoro ed è morto la notte di Natale al Cardarelli di Napoli in seguito alle ustioni.
Bruno, sua moglie Maria e i suoi figli di 16 e 14 anni, fino a due anni fa, erano una delle tante e normali famiglie di romani. Lui titolare di un bar e lei casalinga. Ma i debiti contratti con lo Stato, in particolare le tasse, hanno costretto Bruno a chiudere il bar e la moglie a fare la cameriera in una pizzeria. Bruno, ai tempi d’oro, era anche presidente di una squadra di calcio di periferia; ora invece si deve accontentare di un lavoro saltuario in una cooperativa che lo impegna solo il sabato e la domenica.
La famiglia vive nella zona di San Basilio, alla periferia est della Capitale, e tirano avanti grazie al pacco viveri che la Comunità di Sant’Egidio ogni settimana gli consegna. Il valore del pacco è di 50 euro, all’interno c’è olio, caffè e pasta; usualmente alle famiglie viene dato ogni due settimane, ma avendo due ragazzi la Comunità ha deciso di fare una eccezione.
In questo modo invece di mettersi in fila nelle mense di Sant’Egidio utilizzano i viveri per cucinarli a casa e mantenere un’apparente dignità. In fondo quella di Bruno e Maria è una storia triste, ma anche una storia di solidarietà grazie alla quale si riesce a non farla finita.
Come è avvenuto, invece, per Stefano, il quale dopo aver saputo l’11 dicembre che il suo contratto al Cafè de Paris non sarebbe stato rinnovato si è gettato dal IV piano della sua casa popolare ad Anzio, località a 40 chilometri da Roma.
Lui non aveva una famiglia, nè molti amici, aveva un handicap mentale per cui percepiva una piccolo sussidio in base alle legge 104 ed i dottori che lo avevano in cura – raccontano i suoi colleghi – gli dicevano sempre ‘Se tu lavori, stai meglio’. Ed era vero – aggiungono i compagni di lavoro -, era proprio bravo e tutti a via Veneto lo conoscevano.
Anche per Fausto, ucciso a Napoli dalla mancanza di un lavoro più che dal fuoco, non c’è stato niente da fare e sin dal primo momento le sue condizioni sono apparse critiche ai medici dell’ospedale Cardarelli: aveva ustioni sull’85% del corpo.
Forse a Stefano e Fausto è mancato qualcuno che li aiutasse.
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