“Borsellino sapeva che c’era qualcuno che voleva fare accordi con la mafia”: Gaspare Mutolo, ex killer di Cosa nostra, pentito dal 1991, non parla espressamente di trattativa, ma a quello allude.
Deponendo al processo sul presunto patto stretto tra mafiosi e pezzi dello Stato si muove tra ricordi e supposizioni e descrive un Borsellino amareggiato e preoccupato. “Di lui e di Falcone mi fidavo – dice ai giudici della corte d’assise di Palermo – per questo decisi di parlare con loro anche di personaggi delle istituzioni che avevano rapporti con Cosa nostra come Bruno Contrada e i giudici Domenico Signorino e Corrado Carnevale”.
Mutolo ammette candidamente anche di essersi autoaccusato di omicidi mai commessi e di avere tentato, non precisa su ordine di chi, di convincere diversi mafiosi a collaborare. “Stavo svolgendo un lavoro dentro il carcere”, confessa incalzato dalle domande del legale di uno degli imputati, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, che cerca di minarne la credibilità.
Ma il cuore della testimonianza è l’incontro avuto con Borsellino l’1 luglio del 1992. Il pentito e il giudice si vedono, Mutolo gli fa capire che vuole parlargli a quattr’occhi e in pochi minuti gli accenna agli insospettabili di cui vuol raccontare.
Dopo un po’ al magistrato arriva una telefonata. “Era il ministero, devo allontanarmi – dice al collaboratore – Il ministro vuole vedermi”. l riferimento è all’allora capo del Viminale Nicola Mancino che nel processo è accusato di falsa testimonianza.
L’ex politico ha prima sostenuto di non ricordare l’incontro con Borsellino, poi non ha escluso di averlo salutato insieme ai tanti personaggi accorsi al ministero nel giorno del suo insediamento. Di più di quella visita non ricorda. Al suo ritorno dal collaboratore Borsellino era nervosissimo.
“Mi disse di avere incontrato, fuori dalla stanza del ministro, Contrada e l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi. – spiega – Contrada mostrò di sapere dell’interrogatorio in corso con me, che doveva essere segretissimo. Anzi gli disse: ‘so che è con Mutolo, me lo saluti'”. “Io intuii – dice il teste – che Borsellino era arrabbiato perché del nostro colloquio riservatissimo erano venuti a conoscenza personaggi discutibili”.
Un’altra volta Mutolo sente il giudice fuori di sè, quando parla della cosiddetta dissociazione. A margine di un interrogatorio lo sente urlare in un’altra stanza: “ma che vogliono fare? Sono impazziti?”.”Si era sentito vociferare – racconta – che c’erano personaggi delle istituzioni, carabinieri, servizi segreti, ma anche preti e politici, che stavano cercando di ampliare il discorso dei collaboratori. Da quello che capii c’erano mafiosi, ma anche camorristi, che erano disposti a dissociarsi dall’organizzazione per avere in cambio provvedimenti simili all’amnistia”.
Chi fossero “i personaggi” che avallavano la dissociazione Mutolo non sa. Nel giorno della deposizione di Mutolo arriva la notizia del ritrovamento nella cella di Rebibbia del mafioso pugliese Alberto Lorusso di una lettera con scritte, in alfabeto fenicio, le parole Liggio, Bagarella e “papello” (l’elenco delle richieste che Totò Riina avrebbe fatto allo Stato per fare cessare le stragi).
Questa ed altre missive sarebbero state trovate durante una perquisizione in carcere a sorpresa prima dell’interrogatorio di Lorusso da parte dei pm di Palermo. Il capomafia aveva condiviso con Riina l’ora d’aria e ne aveva ascoltato gli sfoghi contro il pm Nino Di Matteo. Ai magistrati che gli chiedevano spiegazioni sulla lettera criptata Lorusso avrebbe risposto che era un modo per sfidare la censura del carcere. Spiegazione che non ha convinto la Procura che ha interrotto il verbale e indagato il mafioso per falsa testimonianza.