“Prima della strage di via D’Amelio Antonino Gioé mi chiese uno dei due telecomandi che erano stati utilizzati a Capaci perché doveva consegnarlo ai fratelli Graviano“. Lo ha detto ieri sera, nel corso della trasmissione di Michele Santoro “Servizio Pubblico“, in onda su La7, il pentito Santino Di Matteo, padre del piccolo Giuseppe, sequestrato e poi ucciso su ordine di Giovanni Brusca per convincerlo a ritrattare.
Di Matteo, che è stato intervistato in diretta da Santoro, ha riferito che queste sue rivelazioni erano state verbalizzate nel ’93, subito dopo l’inizio della sua collaborazione, ma che non ebbero alcun seguito. Le indagini sull’agguato a Paolo Borsellino avevano infatti imboccato la pista, poi rivelatasi un depistaggio, indicata dal falso pentito Vincenzo Scarantino.
Solo in seguito alle rivelazione di un altro pentito, Gaspare Spatuzza, è stato infatti accertato che i fratelli Graviano avrebbero curato l’organizzazione dell’attentato di via D’Amelio ed è stato istruito un nuovo processo, il Borsellino quater.
Nel corso dell’intervista, Di Matteo ha parlato anche del sequestro del figlio (“Inizialmente pensai che fosse stato mio padre a nasconderlo per proteggerlo, fuggii anche dalla località dove era sotto protezione per cercare di capire cosa era successo”) e di Antonino Gioé, suicidatosi in carcere dopo che aveva cominciato a collaborare per paura di ritorsioni sui suoi familiari.
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