“Lo so non potete capire” recitava il cartello inalberato, mercoledì, da un gruppo di ragazzi in piazza del Plebiscito.
Era scritto nella nostra musicale lingua partenopea.
Avevo pensato la stessa cosa nel leggere commenti e articoli di giornalisti, artisti, politici, gente comune sulla morte del caro, indimenticabile Pino Daniele.
Pare che intendesse dire: non potete capire a prima vista, ma, per favore, fate un piccolo sforzo. Solo in questo modo la tanto decantata cultura del dialogo e dell’incontro si realizzerà. Per la verità, anch’io qualcosa non capisco.
Non capisco la preoccupazione di qualcuno, alla vigilia del funerale, per le “lacrime in eccesso” che i napoletani avrebbero potuto versare.
Non riesco a comprendere quelle lacrime a chi avrebbero potuto fare del male. Se decine di migliaia di persone – per la maggior parte giovani – hanno sentito il bisogno di ritrovarsi nella piazza simbolo di Napoli, per abbracciarsi, accendere una fiammella, cantare insieme le belle canzoni del cantautore partenopeo, un motivo ci sarà. I napoletani sono fatti così. Nel bene e nel male. Può piacere o non piacere.
L’ Italia è lunga, gli italiani hanno caratteri e mentalità diversi, ma importante è che sanno di essere fratelli. La diversità non è un dramma bensì una ricchezza. I nostri diversi idiomi, le nostre diverse tradizioni vanno preservati e incoraggiati.
È bello, scendendo dal Trentino verso la Sicilia, assistere al cambiamento del panorama, del clima, degli accenti della lingua.
È bello fermarsi a mangiare e gustare i piatti tipici di un territorio. Chissà perché, ma il “panino con le panelle” lo gusti davvero solo a Palermo, così come il “cervo con la polenta” nelle valli e sulle vette del Tirolo. Non pretendo di dover capire tutto né che tutto debba per forza piacere a me. La cosa importante è avere rispetto per la cultura altrui, sempre che non faccia male ad alcuno.
La tolleranza, virtù benedetta da Dio, è all’origine di ogni democratica convivenza. Ognuno, dunque, esprime il suo dolore nel modo che più gli è consono. Siamo diversi per intelligenza, studi, età, convinzioni personali. Siamo diversi ma dobbiamo stare insieme, possibilmente facendoci del bene, di certo senza mai farci male. C’è chi, quando il dolore bussa alla sua porta, preferisce stare in solitudine e chi invece ha bisogno di appoggiarsi agli altri.
A Napoli in questi giorni, non c’è stata alcuna “sceneggiata” come paventato da qualche altro illustre artista, ma una schietta solidarietà che in questi tristi tempi dovrebbe rallegrare il cuore di tutti. Mentre il mondo, sconcertato e in ansia, si interroga sull’attentato di Parigi messo in atto da giovanissimi e spietati terroristi, a Napoli centomila coetanei di questi assassini sciagurati e senza cuore, si tengono per mano e piangono la scomparsa di un cantautore come se fosse uno di famiglia.
Un uomo al quale sentono di dovere tanto per averli fatti cantare, sognare, sperare. Che in questi giorni li ha riuniti e affratellati. Non ho paura di chi si commuove e piange, ma di chi irride e uccide. In piazza del Plebiscito non si è registrato un solo spintone, un solo tafferuglio. A volte basta una sola nota per scatenare emozioni, sensazioni, sentimenti difficili da dire. Pino Daniele ci è riuscito. Napule è per noi è questo e altro ancora. Non pretendiamo che sia così per tutti.
Le reazioni della mia città, del mondo dell’ arte e della musica, le ripetute richieste dei giovani di avere almeno per qualche ora a Napoli il corpo del cantante, le tante lacrime versate, mi fanno toccare con mano che il mistero della vita e della morte è troppo grande per non essere indagato. Che ignoralo – o fingere di farlo – non conviene. Che credere che in qualche modo misterioso la vita continua, prima di essere un atto di fede, è un’ esigenza dell’ animo umano.
Addio, Pinù. Ognuno ti ricorderà a modo suo. Io, prete, venuto alla luce come te alla vigilia di quella benedetta primavera del 1955, lo faccio portandoti con me all’Altare del Signore.
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