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“Non possiamo vivere così”. Si suicida operaia Fiat in cassa integrazione

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L’hanno trovata quattro giorni dopo la morte, sola, nella sua camera da letto, riversa in una pozza di sangue, con il coltello da cucina usato per trafiggersi diverse volte l’addome a poca distanza e la mano protesa verso il telefono poggiato sul comodino nel tentativo ultimo, forse, di salvarsi la vita.

Maria Baratto, 47 anni, operaia del reparto logistico Fiat di Nola, da 6 anni in cassa integrazione, con scadenza a luglio, viveva sola ad Acerra (Napoli) da quando si era separata dal marito qualche anno fa, dopo un matrimonio di breve durata.

Ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava, sono stati alcuni vicini di casa, preoccupati dal fatto che Maria non rispondesse al telefono, né aprisse la porta. Dall’appartamento, ieri, i vicini hanno cominciato a sentire quel tanfo di cadavere che ha fatto scattare l’allarme e la chiamata ai carabinieri.

I militari hanno dovuto chiedere l’intervento dei vigili del fuoco per sfondare l’uscio di casa, ed hanno trovato il corpo senza vita di Maria riverso sul letto. Il medico legale ha riscontrato diversi fendenti all’addome, che quasi sicuramente la donna si è inferta da sola. Gli inquirenti, infatti, sono convinti che si tratti di un suicidio, in quanto la porta era chiusa a chiave dall’interno e non è stato trovato nessun segno di violenza, né tracce di effrazione. Nulla.

Neanche un biglietto con il quale la donna avrebbe potuto spiegare il perché di quel gesto così disperato. La morte dovrebbe risalire a martedì scorso. Tutte ipotesi che potranno divenire certezza solo dopo l’autopsia disposta dal magistrato di turno.

Quel che è certo è che la donna soffriva da tempo di crisi depressive, e qualche anno fa aveva anche affermato di assumere psicofarmaci, in un’intervista rilasciata per il film-documentario di Luca Rossomando ”La fabbrica incerta – vite operaie alla Fiat di Pomigliano d’ Arco”, girato nel 2009, e uscito nelle sale nel 2011.

“Le patologie causate dalla catena di montaggio? – diceva Maria alle telecamere – a 22 anni montavo il tergilunotto sull”Alfa 33′, da sola. Oggi prendo psicofarmaci ma voglio credere che la figura dell’operaio torni a essere quella di una volta. Noi abbiamo sostenuto una Nazione”. Maria, nel 2011, rimase profondamente colpita dalla storia di un collega dello stabilimento di Pomigliano che aveva tentato di togliersi la vita ferendosi con un’arma da taglio.

”Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti”, scrisse in una sorta di articolo parlando dei ‘Suicidi in Fiat’, che poi pubblicò ad un anno di distanza sul sito web del “Comitato mogli operai Pomigliano”.

Nello scritto, la donna accusava la politica di non far nulla, e la Fiat e Marchionne di ”fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori che sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine ed a un futuro di disoccupazione”. Accuse riprese oggi dallo Slai Cobas, sindacato cui la donna si era iscritta dopo il trasferimento a Nola.

”Il suo scritto – sottolineano dal sindacato ricordando anche il suicidio di un altro operaio del reparto logistico di Nola, avvenuto a febbraio di quest’anno – è un lucido testamento politico e sindacale, la nitida rappresentazione dell’attuale condizione e solitudine operaia fotografata dall’ interno”.

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