Ci sono stati giornalisti sportivi napoletani come Gino Palumbo e Guido Prestisimone che hanno fatto la storia del giornalismo italiano.
Ci sono giornalisti sportivi napoletani pensionati come Mimmo Carratelli, Luigi Necco, Romolo Acampora, Antonio Sasso, Francesco Marolda, Antonio Corbo che hanno scritto pagine importanti di storia del giornalismo di questo bel Paese dove si dimentica la cultura di cui è intrisa questa terra e ci si innamora di effimero, cialtronaggine e cialtroni.
Ne dimentico sicuramente tanti di grandi giornalisti sportivi napoletani e me ne scuso ma quelli che ho citato sono persone che ho letto sin da ragazzino e mi hanno fatto crescere la passione per il giornalismo.
Raccontare il calcio, il canottaggio, scherma, basket, tennis o altri sport cosiddetti minori in cui Napoli eccelleva e eccelle è stato (ed è ancora) per questi giornalisti sportivi che ho citato un modo per raccontare anche sogni e bisogni del sud, povertà materiale e ricchezza morale di un pezzo d’Italia che anche noi giornalisti (non solo mafie e politica corrotta) abbiano contribuito a depauperare, sfaldare perché incapaci di raccontare. Ancora oggi se leggo un libro di Luigi Necco, un reportage di Antonio Corbo, un editoriale di Mimmo Carratelli torno ragazzino e penso che questi signori sono il migliore prodotto di una Napoli colta che è fiera del passato ma che guarda al futuro. Ovviamente la mia è una visione limitata alla professione del giornalismo (soprattutto sportivo) che va morendo.
Oggi leggo
Massimo Corcione, un direttore di Sky, uno che ha fondato il Tg5, uno che è il protagonista di nuovi modi di fare TV e nuovi linguaggi del giornalismo sportivo. Corcione è persona che non ama i riflettori (pensate un po’, uno che è protagonista della TV che non ama stare davanti la telecamera), è schivo, riservato ma sempre attento alla sua terra. Oramai “milanese” non ha mai reciso i suoi legami con Napoli.
Pensate, a parte gli editoriali sul calcio per il Mattino, è impegnato da anni, per amore della sua terra, a scrivere per il giornale del rione in cui è nato. Chi ha avuto la sventura di leggere sin qui si chiederà: ma questo che cosa voleva dire?
La domanda è: dopo la morte di Peppone Pacileo siamo tutti più poveri. Dietro tutti questi giornalisti che vi ho citato, che sono già storia di questo mestiere, che cosa c’è? L’ignoto. Almeno io l’ignoro!!!
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