Questa sera vedremo la terza puntata della fiction televisiva partita l’8 dicembre in prima serata su Rai1. E’ una serie tv che racconta i sogni di un Paese che si è lasciando alle spalle il fardello che una guerra lascia. L’Italia sta cercando di attuare una vera e propria rivoluzione, nella società, nell’economia e anche nei comportamenti di vita.
Tutto inizia nel 1956 e, attraverso i sogni, le gioie ma anche le delusioni dei protagonisti de “Il paradiso delle signore”; lo spettatore verrà preso per mano per essere guidato in un’epoca non così tanto lontana in fondo, attraverso la storia di un grande magazzino, dove la bellezza può essere alla portata di chiunque.
In quest’occasione, abbiamo intervistato la regista Monica Vullo che gentilmente ci ha permesso di spaziare sulla sua carriera, sul magico mondo del cinema e su un Sud che non deve essere mai lasciato solo.
Chi è Monica Vullo oggi?
E’ una mamma che ha scelto come mestiere quello di fare la regista, è una donna matura e consapevole, che si diverte ancora molto a stare dietro la macchina da presa. Alla soglia dei cinquantanni, ha ancora voglia di fare, di emozionarsi e non smettere mai di entusiasmarsi.
Cos’è per te il cinema?
E’ la mia vita, sin da piccola l’ho amato. E’ un racconto infinito che continua ad essere presente nella mia vita. E’ il luogo dove cresci e ti evolvi, dove ti innamori, dove piangi, dove ridi e anche dove ti spaventi, è il luogo dove proietti tutti i tuoi sogni, il cinema è vita. La televisione invece credo che sia un luogo che entri prepotentemente nel quotidiano di ognuno di noi, a differenza del cinema che viene scelto, è un’altra forma di racconto altrettanto affascinante.
Cosa significa essere una regista donna oggi come oggi?
Essere regista oggi è onestamente molto difficile e complicato. Oggi più che mai si fa molta serialità in tv, il che vuol dire che si deve avere un modello ben preciso in mente, c’è il proprio committente che può essere la rai o meno, ci sono gli attori che molto spesso non vengono scelti dal regista, ci sono le sceneggiature che molto spesso devono essere accettate per come sono con un margine d’intervento molto piccolo. Il lavoro del regista soprattutto televisivo diventa molto esecutivo e molto spesso svuotato di personalità, questo è per me, lo dico a malincuore, un aspetto abbastanza penalizzante, anche perché dovrebbe essere un lavoro creativo e anche di rottura in certi casi e ora come ora lo sta diventando sempre meno. Si deve star dentro alla strada indicata dalla produzione. Essere una regista donna è ancora più complicato perché si deve conciliare la vita privata con quella lavorativa; molto spesso per il budget, si è costretti a lavorare fuori e questo, purtroppo, va a danneggiare la tua stessa famiglia. Inoltre, la concorrenza con i registi uomini è molto alta.
Dall’8 dicembre, vediamo su Rai1 “Il paradiso delle signore” da te diretto. Ci racconti com’è nata l’idea di fare questa fiction?
L’idea nasce dalla produzione e questa fiction mi è stata proposta un anno prima della realizzazione. Era la mia prima esperienza in costume, esattamente ambientata negli anni ’50 e mi ha subito affascinato, soprattutto sono stata entusiasta di poter dirigere un cast così giovane.
Perchè questo titolo?
Prende ispirazione da un romanzo di fine ‘800 di Emile Zola. “Il paradiso delle signore” è un grande magazzino degli anni ’50 con sede a Milano. Ha come protagonista indiscusso Pietro Mori, un imprenditore da poco tornato dall’America che decide di investire la sua fortuna in questo grande magazzino dedicato unicamente alle donne.
La fiction è ambientata negli anni ’50, cosa rappresentano quegli anni?
Sono gli anni della rinascita, c’è voglia di riscatto dopo gli anni bui della guerra, delle speranze e della capacità di sognare. Ambientata a Milano, a metà degli anni ’50, è un racconto di un periodo storico importante per la nascita della creatività italiana. L’apertura del Paradiso delle signore, nel centro della città, segna uno spartiacque tra l’Italia di prima e di quella che verrà. Al suo interno, si possono trovare vestiti di qualità a prezzi giusti ed è proprio lì che lavorano un gruppo di commesse giovani, pronte a cercare una propria indipendenza. Il negozio è il sogno che si realizza per Pietro Mori che, dopo aver vissuto per anni in America, torna in Italia con una visione nuova del commercio e, nonostante le ferite dell’anima ancora aperte, guarda al futuro con intuizioni che decide di realizzare. Non siamo stati fedelissimi nel riportare nel piccolo schermo gli anni ’50, abbiamo cercato infatti di re-interpretarli. Abbiamo girato quasi esclusivamente in studio a Roma, ricostruendo un pezzo dell’esterno e girando pochissimo a Milano, perchè era praticamente impossibile riuscirci.
Com’è cambiato il ruolo della donna?
In riferimento anche a “Il paradiso delle signore”, le donne per poter lavorare dovevano essere nubili e, rispetto ad oggi, credo che sia una differenza davvero enorme. Credo sia totalmente cambiata la consapevolezza nel mondo sociale, del lavoro e anche della moda che hanno le donne. Un tempo mostrare il bikini era molto disdicevole, esattamente come indossarlo
Qual è oggi “il paradiso delle signore”, secondo te?
Credo che il vero “paradiso” per le signore siano quelle abitazioni in cui regna il rispetto per il genere femminile, per le proprie mogli e per le proprie figlie, ma anche quei luoghi di lavoro, come quei luoghi pubblici e sociali che esigono riguardo nei confronti delle donne.
Quest’intervista verrà pubblicata nella testata giornalistica Resto al Sud che invita a resistere, a non abbandonare le terre del Sud, intendendo anche il Sud di una città, di un quartiere, di una provincia. Qual è il tuo rapporto con queste terre? Per quali motivi non si dovrebbe lasciare il Sud?
Secondo me, è fondamentale resistere e non lasciare abbandonate a se stesse queste meraviglie. Posso dirti che ho una casa in campagna che è in un certo senso il mio luogo del cuore in un piccolo ma grazioso paese che si chiama Canino, in una provincia difficile dove i giovani fanno molta fatica a trovare lavoro, trovo ci sia molta emarginazione, si trova nell’alto Lazio. Esiste solo una scuola e risulta difficile avere un futuro in quel territorio. Alcuni restano perchè altrimenti non saprebbero dove andare. Altri invece restano per poter cambiare le cose perchè insieme si può. Sto cercando di far nascere un’associazione culturale in cui facciamo maneggio cercando di dar modo a molti giovani di avere a disposizione attività extra- scolastiche. Secondo me, questo vuol dire lavorare sul territorio investendo le proprie capacità. Ritengo che sia necessario restare per cambiare.
Cosa vorresti arrivasse al pubblico di questa fiction?
Spero arrivi la gioia che abbiamo provato noi nel girarla. Lo spettatore ci deve perdonare se, pur rimanendo in quel decennio, ci siamo concessi qualche libertà. Vorrei che rimanessero i colori, la spensieratezza, la musica e la sensazione che si può e si deve continuare a sognare e a sperare, sempre e comunque nella vita.
Dopo “Il paradiso delle signore”, quali sono i nuovi progetti?
Sto chiudendo la serie tv di “Don Matteo”.
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