Stasera in prima serata su Rai1 inizia “La mafia uccide solo d’estate”, la fiction di sei puntate diretta da Luca Ribuoli e coprodotta da Rai Fiction.
Ci racconta la Palermo degli anni ’70, ponendo particolare attenzione nella storia della famiglia Giammarresi, una famiglia come tante, alle prese con i suoi problemi quotidiani, se non fosse che si trova a vivere in uno dei periodi più caldi della storia, dove gli spargimenti di sangue e i morti ammazzati per le strade sono all’ordine del giorno. Ispirato all’omonimo film rivelazione di Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif), “La mafia uccide solo d’estate” porta nel piccolo schermo un racconto che scava nel passato in profondità per aiutarci a comprendere meglio il presente che stiamo vivendo, tra il drammatico e la commedia. A guidare i telespettatori lungo il filo del racconto televisivo sarà proprio Pif.
Dopo il debutto del suo primo film, in queste settimane stiamo vedendo al cinema la sua seconda creazione, “In guerra per amore”, in cui racconta un passato che probabilmente è stato volutamente rimosso dai più. Ha denunciato infatti il ruolo che hanno avuto gli Stati Uniti d’America nel legittimare la mafia nel nostro Paese. Dopo lo sbarco in Sicilia, gli americani, servendosi delle organizzazioni malavitose, non hanno fatto altro che promuovere a livello locale i boss mafiosi.
Ancora una volta Pif ci racconta una piccola parte di storia di una terra affascinante e terribile, qual è la Sicilia, manifestando la sua luce e la sua ombra, che a volte non sa prendersi cura della sua bellezza, arrivando fino a sfregiarla con il sangue, ma dove ancora c’è ancora spazio per la passione per la vita e il sorriso.
Pierfrancesco di strada ne ha fatta, da quando, da bambino, giocava con le attrezzature video professionali del padre regista. Ha seguito l’università della vita e dei sogni che l’hanno portato a Londra. Nel 1998 ha lavorato come assistente alla regia di Franco Zeffirelli e l’anno seguente di Marco Tullio Giordana per “I cento passi”. Ha lavorato nel programma “Le Iene”, prima come autore televisivo e poi come iena. In seguito, gli è stato proposto “Il testimone” su Mtv, programma che ancora oggi lo vede protagonista nel raccontare un’alternativa all’informazione falsa e reticente, in cui dà uno sguardo diretto e sincero sulla realtà che viviamo quotidianamente.
Qui di seguito potete leggere una bella chiecchierata che ho fatto con lui, non con una persona qualunque, ma con colui che ha saputo parlare di mafia con ironia e leggerezza nel piccolo e nel grande schermo, un urlo potente attraverso la risata e il sorriso, come solo lui sa fare.
Chi è Pierfrancesco Diliberto?
E’ un uomo che sta esaudendo i desideri che aveva da piccolo, è un uomo felice perché sta cercando di mantenere lo spirito di quando aveva 18 anni. Quando si cresce, molto spesso accade che si vada via via perdendo l’entusiasmo e la forza di credere nelle proprie idee; ecco, lui dinnanzi alle decisioni davvero importanti nella vita, cerca sempre di pensare al Pierfrancesco ventenne, per non tradire sè stesso, e ti posso assicurare che non è semplice.
Fin da ragazzo, hai mostrato una forte attitudine di guardare il mondo dietro un obiettivo, per le telecamere prima e per la regia ora. Com’è nata questa passione?
Negli anni ’80, mio padre aveva una casa di produzione e io sono cresciuto con quelle attrezzature. Ora mi trovo a fare parte di un mondo che mi piace; chissà, forse se non fosse stato per lui, avrei fatto altro; ho sempre cercato di non abbandonare mai i miei sogni e così ho fatto la mia scelta, anche se di fatto la mia è stata una strada diversa da quella di mio padre.
Nel programma “Il Testimone”, hai spesso parlato di mafia; cosa tenti e desideri comunicare con il tuo programma?
Mi piace raccontare in maniera diretta quello che vedo, la realtà, cercando di filtrare il meno possibile. L’idea di usare una piccola telecamera era un modo per influenzare meno la realtà, cosa che invece la televisione fa e continua a fare. Hai presente quei filmati, tendenzialmente lunghi, girati dagli amici durante le vacanze? Ecco invece, “Il Testimone” è un filmato delle vacanze fatto da un tuo amico che sa usare la telecamera e montare un video.
Il tuo primo film “La mafia uccide solo d’estate” ha unito pubblico e critica; da lunedì 21 novembre in prima serata su Rai1 vedremo la serie tv. Perché il tuo film ha riscosso così tanto successo secondo te?
Normalmente i film di mafia iniziano dopo la morte del protagonista; nel mio film si andava oltre, ho cercato cioè di spiegare cosa accadeva in città quando moriva il protagonista. Ho raccontato quello che poteva essere il punto di vista di un bambino di dieci anni in piena guarra di mafia. Essendo il giovane privo di ideologie e pregiudizi, tendeva a dire la verità. Credo che sia stata questa la differenza rispetto agli altri film che sono sempre molto validi per l’argomento.
Tu sei siciliano, esattamente di Palermo. Cosa rappresenta questa città per te?
E’ la mia città, dove sono nato e dove ho vissuto per diversi anni. E’ una realtà dalla quale non puoi fuggire ma che anzi ti mette costantemente alla prova. Per quanto io possa andare in giro per il mondo, vi faccio sempre ritorno, perché è lì che ci sono le mie radici.
Quanto ha inciso il tuo essere siciliano per “La mafia uccide solo d’estate”?
Moltissimo! Abbiamo avuto il coraggio di raccontare così perchè coinvolti. Essendo palermitani, ci sentivamo legittimati a scherzarci sù ma anche a capire quando dovevamo fermarci. Probabilmente non fossi stato di questa città, non avrei mai avuto la stessa determinazione.
Come ti rapporti al periodo storico che stiamo vivendo?
Appartengo a quella generazione che se si mette a raccontare a un quindicenne come si viveva, probabilmente viene giudicata come un alieno. Quando vivevo a Londra, con un pound parlavo con mia madre, rassicurandola; ricordo che andavo a leggere La Repubblica nella biblioteca comunale, cercando di avere contatti con l’Italia, anche se di fatto venivo a sapere quello che accadeva nel mio Paese due giorni dopo. Sto cominciando ad avere una visione del mondo differente rispetto a qualche anno fa; per esempio mentre un tempo i social network potevano essere un mezzo e uno strumento, oggi se ne fa un uso eccessivo, quasi come ci vivessimo all’interno, un comportamento da folli!
Parlando del tuo ultimo film “In guerra per amore”, racconti un episodio del nostro passato che ha riconosciuto alla mafia un ruolo e un potere non da poco. Per quali motivi proprio questo avvenimento?
Perché è un episodio della nostra storia che non è mai stato raccontato dal grande schermo. E’ un fatto che ha segnato profondamente la nostra democrazia e la nostra libertà; prima con il fascismo e poi con la Guerra Fredda, ci siamo alleati con i peggiori perché l’occidente ha chiesto aiuto agli ex- nazisti e a ex-fascisti. Al Sud invece, lo Stato ha scelto di allearsi con la mafia, perché, c’era il pericolo comunista.
Ancora una volta ci racconti una storia con un legame strettissimo con la realtà. Perché?
Beh, perché ritengo sia importante far conoscere la storia del nostro Paese a chiunque. Non riuscirei mai a pensare di fare una commedia solo commedia o di girare un film drammatico unicamente drammatico, mi piace mescolare i due generi. Non sono uno storico, ma solo un regista e un autore televisivo che ha un suo punto di vista e che si documenta per fare un film di questo tipo.
Cosa vorresti arrivasse al grande pubblico del tuo film?
Credo che sia importante sapere la nostra storia; per capire dove andare, dobbiamo capire da dove veniamo. Per me era fondamentale far comprendere il prezzo che abbiamo pagato per avere la libertà della democrazia.
Racconti la mafia in una maniera particolare, attraverso l’ironia, attraverso la leggerezza. Il sorriso nella vita è importante secondo te? Anche quando si tratta di raccontare di particolari eventi della nostra storia?
Certo che è importante! Ho sempre pensato che finché esiste la forza di ridere, ci sia anche una speranza. Il giorno in cui non avremo più la forza di ridere, di sorridere e di emozionarci, vorrà dire che sarà davvero tutto finito.
Cos’è per te l’omertà?
L’omertà nasce quando si ha paura e quando si è consci di non avere la possibilità di scegliere. L’omertà che c’è stata in questi anni in Sicilia viene in qualche modo giustificata perchè negli anni ’70 e ’80 se tu dicevi di essere testimone di un omicidio, voleva dire essere ucciso dalla mafia al novantanove per cento. Credo che anche una persona di Bolzano avrebbe cominciato ad essere omertosa se si fosse trovata nella stessa situazione. L’omertà siciliana è un simbolo di debolezza da parte dello Stato perchè se quest’ultimo ci fosse stato, non saremmo mai arrivati a questo silenzio così assordante.
E la mafia?
E’ un’organizzazione criminale che se non ci fosse stata la politica e chissà quali altre entità non sarebbe diventata quello che è realmente purtroppo. E’ sempre stato terribilmente sbagliato considerarla come un qualcosa di locale e di siciliano, dietro ci sono grandi entità che la appoggiano. La mafia continua a uccidere, a massacrare i sogni di intere generazioni. Sta vincendo dal punto di culturale e questo è molto pericoloso; in Italia, noi nasciamo rassegnati di non poter realizzare i nostri sogni ed è ciò che la criminalità organizzata vuole. Per me, la mafia è un incubo.
Cosa si può fare per combattere la criminalità organizzata?
La mafia non ti viene a chiedere di uccidere, bensì vuole vedere riconosciuto il proprio potere. Tendenzialmente il mafioso è sempre stato generoso con il popolo perchè così può ricattarlo e questo accade perché il più delle volte lo Stato è assente; fino a quando questo accadrà, la mafia vincerà, sempre! Nel discorso finale del film “In guerra per amore”, ci siamo ispirati a un discorso che un mafioso fece a un magistrato: “Finita la scuola, quando i giovani cercheranno lavoro da chi andranno secondo lei, dottore? Verranno da lei o da noi a cercarlo?”. Secondo me, ognuno di noi può cercare di fare il proprio lavoro nel modo più onesto possibile, esattamente come hanno fatto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Chi ha pagato con la propria vita per insegnarcelo non aveva dei super poteri, era esattamente come noi; c’è chi stava andando al lavoro, Borsellino accompagnava la madre dal medico, Boris Giuliano stava pagando il caffè al bar. Non dobbiamo crearci l’alibi che siano dei miti (anche se di fatto lo sono), ma dobbiamo comprendere che si tratta di persone che hanno vissuto una vita leale e onesta e noi questo dovremmo sempre ricordarcelo.
Si può davvero andare “In guerra per amore”?
Beh, oggi come oggi una prova d’amore è cedere il proprio iphone! A parte gli scherzi, sono in molti a fare follie per amore e quindi.. viva le follie!!
Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud, un quotidiano il cui nome è semplicemente dovuto al fatto che, oltre che occuparsi di tutto quello che accade in Italia e nel mondo, è molto attento alle tematiche che riguardano il Sud. Queste terre, spesso teatro di sangue e morte, possono farcela? Avranno la possibilità di riscattarsi, secondo te?
Se pensi alla situazione di Palermo raccontata ne “La mafia uccide solo d’estate” e alla situazione attuale, sicuramente le cose sono migliorate. Oggi, se vuoi aprire un negozio a Palermo, puoi farlo; non devi pagare il pizzo, un tempo sarebbe stato impensabile non farlo. Se c’è stato un cambiamento in questa città, perchè non anche in tutte le altre? Siamo noi che decidiamo se far davvero cambiare le cose!
Dopo “In guerra per amore”, quali sono i tuoi prossimi progetti?
Da gennaio, inizierà la nuova stagione de “Il Testimone” su Canale 8 e poi farò una striscia di 10 minuti su Rai3.
Lascia un commento