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Lockdown, quanto ci costi? Il report Svimez sulle attività a rischio
09 Apr 2020 09:36

Il lockdown “costa” circa 47 miliardi al mese, 37 “persi” al Centro-Nord, 10 al Sud. La straordinarietà della dimensione del lockdown si legge nella quota di impianti “fermi”: la SVIMEZ ne stima più di 5 su 10 in Italia. Nella media nazionale, senza considerare i settori dell’Agricoltura, le Attività finanziarie e assicurative e la Pubblica Amministrazione, crollano del 50% fatturato, valore aggiunto e occupazione. E’ il quadro impietoso che emerge dal report firmato SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno).

Il valore aggiunto

Il blocco colpisce duramente, sia pure con diversa intensità, indistintamente l’industria, le costruzioni, i servizi, il commercio. A livello territoriale, sono più interessate le regioni del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1%, circa 6 punti percentuali in più rispetto al Centro e al Mezzogiorno).

In termini di occupati interessati la forbice si annulla tra Nord e Sud: 53,3% nel Nord, 51,1% al Centro e 53,2% nel Mezzogiorno. In termini di unità locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unità locali interessate dal lockdown raggiungono il 59,2% a fronte del 56,7 e del 57,2% rispettivamente nel Centro e nel Nord. La SVIMEZ stima che un mese di lockdown “costa” 47 miliardi di euro (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali “persi” al Nord, 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro capite al mese nella media italiana, 951 euro al Centro-Nord contro i 473 al Sud.

Partite Iva a rischio

L’impatto del lockdown sull’occupazione: autonomi e partite iva a rischio. Se si analizza l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso, sono interessati dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli indipendenti. Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta più intenso che nel Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%) per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidità. La struttura più fragile e parcellizzata dell’occupazione meridionale si è tradotta in un lockdown a maggiore impatto sugli occupati indipendenti (42,7% rispetto al 41,3% del Centro e del Nord). Sono “fermi” circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno. Si tratta in larga parte di autonomi e partite iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno.

Le perdite di fatturato e reddito lordo operativo di autonomi e partite iva sono piuttosto uniformi a livello territoriale. La perdita complessiva di fatturato è di oltre 25,2 miliardi in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. Una distribuzione territoriale simile si osserva per le perdite di reddito operativo: circa 4,2 miliardi in Italia, di cui 2,1 al Nord, quasi 900 milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di inattività ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita iva, con una perdita di reddito  lordo di circa 2 mila euro, 1900 e 1800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree.

Il mercato del Sud

La maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area. Il decreto cura Italia ha esteso gli ammortizzatori sociali da una platea di circa 10 milioni di dipendenti privati a 14,7 milioni. Rimangono privi di tutela circa 1,8 lavoratori privati dipendenti, di cui 800 mila lavoratori domestici (200 mila al Sud e 600 mila nel Centro-Nord) e circa 1 milione di lavoratori a termine, che pur avendo lavorato in passato non erano occupati il 23 febbraio (350 mila al Sud e 650 mila nel Nord). Si tratta di una platea cui occorre dare risposta con uno strumento universale di tutela dalla disoccupazione, ma che non debbono rientrare nell’area assistenziale del Reddito di Cittadinanza. Infine, va considerato che, oltre a circa due milioni di lavoratori irregolari (1,2 milioni al Nord e 800 mila nel Mezzogiorno) è possibile stimare circa 800 mila disoccupati in cerca di prima occupazione che per effetto della crisi presumibilmente non potranno accedere al mercato del lavoro nei prossimi mesi, concentrati prevalentemente nel Sud (500 mila a fronte di 300 mila nel Centro-Nord).

Il “Cura Italia”

La compensazione statale di 600 euro prevista dal “Cura Italia” per i lavoratori autonomi copre “solo” il 30% della perdita di reddito lordo mensile di 2 mila euro in media nazionale stimata dalla SVIMEZ. Le previsioni sul Pil per il 2020. La SVIMEZ stima un calo del Pil del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del – 7,9% nel Mezzogiorno. Si tratta di una previsione che considera il solo impatto del “cura Italia”. Ulteriori interventi espansivi potrebbero attenuare la dinamica recessiva. Il profilo trimestrale 2020 evidenzia un impatto più rilevante nel primo semestre nelle regioni del Centro-Nord epicentro della crisi sanitaria. Il rimbalzo positivo, invece, che ci si attende con il venir meno del lockdown appare più intenso nelle regioni del CentroNord. Il Mezzogiorno incontra lo shock in una fase già tendenzialmente recessiva, prima ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi, ancora inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).

Il Mezzogiorno

Il rischio di default è maggiore per le medie e grandi imprese del Mezzogiorno. I tempi incerti del lockdown e l’incertezza che investe tempi e modalità delle riaperture minano le prospettive di tenuta della capacità produttiva. I dati territoriali sul blocco delle attività economiche delineano un quadro assai più problematico dell’ultima crisi. Il blocco improvviso e inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato dall’ultima crisi. Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all’inizio alla crisi con un’interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione. Un’urgenza che si è tradotta nel d.l. liquidità approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile. Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell’indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord


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