Avevo 18 anni quando mi sono trasferita da Reggio Calabria a Rende per frequentare l’Università della Calabria.
Primo anno di Filosofia, mi spettava un alloggio, come si diceva una volta, “per merito e per reddito”. Mi sono messa in attesa, perché c’era sempre qualcuna/o che il merito l’aveva più alto e il reddito più basso del mio e quindi bisognava aspettare: sono così entrata nel magico mondo dei subaffitti universitari. Ho fatto quell’esperienza al “Nervoso”, un plesso composto da tre palazzi di sette piani, rigorosamente senza ascensore, con quattro appartamenti per piano pieni zeppi di studenti.
Ero ospite – a pagamento – di un appartamento vissuto da sei ragazze, tutte vetero studentesse. Dove il vetero va considerato come stato dell’animo prima ancora che anagrafico…
Erano tutte studentesse di economia tranne una, la mia affittuaria, che studiava lettere ma avrebbe fatto bene a fare la chiromante. Passava le giornate a leggere le carte, ad ascoltare le canzoni di Pupo e si permetteva incursioni nel neomelodico napoletano. Una personcina a modo con cui avrei dovuto dividere il posto-letto. Eppure, non si sa bene per quale motivo, alla fine io dormivo sempre in una brandina e quasi mai nel letto in cui avremmo dovuto fare a turno…
Ho iniziato a frequentare colleghe o comunque ragazzi degli altri piani e palazzi. E ho capito presto che ero capitata davvero nell’appartamento peggiore. Dietro di me, per esempio, nel terzo palazzo si divertivano un sacco.
Ho socializzato un po’ con tutti, ormai il “paese Nervoso” era nelle mie mani. Conoscevo tutti – dai bacchettoni ai tossici, dai disadattati ai geni – ma nonostante tutto quella dimensione mi faceva paura. Forse non ho mai avuto percezione di cosa fosse realmente la mia terra prima di arrivare lì.
Semplicemente perché lì si consumavano delle aspettative. Non credevo che la mia compagna di casa, giovane, studiosa, “fuori-sede” mi potesse dare le stesse risposte di mia nonna. E invece mi sbagliavo.
“Ma chi è Roberta Lanzino?” domandai.
“Una che hanno violentato e ucciso anni fa”.
“Quanti anni aveva?”
“19”
“E chi è stato?”
“Mah, chi lo sa? Vai a vedere cosa c’è sotto?”
“In che senso?”
“Nel senso che non si è mai saputo”
“Ma come sono andate le cose?”
“Si dice che stava andando con il motorino nella sua casa al mare di Torremezzo, qualcuno l’ha buttata fuori strada e l’ha violentata e accoltellata più volte. Fino ad ammazzarla”
“È una cosa terribile”
“Sì, certo che è una cosa terribile, ma dico io chi la mandava a fare quella strada…”
“In che senso?”
“Invece di fare la strada sterrata avrebbe potuto fare la statale. Si sa che quelle sono strade da non fare”
“Quindi è stata colpa sua?”
“No, che c’entra. Dico solo che poteva evitare di fare quella strada da sola con il motorino”
“Non pensi che sia stata semplicemente sfortuna?”
“Sì, è chiaro ma sai io non è che so che faceva questa nella vita…”
“In che senso?”
“Vai a vedere con chi stava…”
“Scusa non capisco che vuoi dire”
“Eh! Che voglio dire? Che certe cose non succedono per caso”
“Scusa prima mi hai detto che non ci sono colpevoli, ci sono sospettati?”
“Penso di sì, ma non so neanche di chi sospettano. Però dalle mie parti sappiamo bene che certe cose non succedono mai per caso”
“Ah siete tutti un po’ chiromanti nel tuo paese…”
“Che vuol dire?! Ah fai la moderna…”
“Moderna?!”
“Sì, fai la moderna. Fai finta di non capire”
“Purtroppo capisco fin troppo bene”
“Vabbò ciao. Stasera vedi che il letto serve a me perché mi fa male la schiena”
Quella notte non ho dormito a casa. Sono andata da Elisa, una ragazza conosciuta durante il corso di Filosofia morale. Ho ascoltato per la prima volta “Pablo Honey” dei Radiohead e ho pensato tutta la notte a Roberta Lanzino. La sua storia mi ha ossessionato per molto tempo.
[da “Roberta Lanzino. Ragazza”, di C. Costantino e M. Comandini bit.ly/1pZfsr6]