La fabbrica dei gelati più grande d’Europa e la seconda in assoluto, è nel cuore della Terra dei Fuochi. L’ennesimo paradosso del Mezzogiorno, dove convivono i roghi dei veleni e le fabbriche della morte convivono con i capannoni bianchi e azzurri dell’Algida. Dentro, le due centrali termoelettriche che alimentano le linee produttive hanno una potenza di 10 megawatt, bruciano metano e utilizzano gli impianti di cogenerazione per non sprecare l’energia termica prodotta dalla turbina di un aereo, anche questa riciclata e riutilizzata. È qui che sono nati i prodotti che hanno segnato le estati (e non solo) di intere generazioni, dal Fiordifragola al Cornetto. Ed è qui che i tecnici e gli ingegneri hanno realizzato un prodotto che ha fatto ormai il giro del mondo, il Caffèzero. Caivano, provincia della terra dei fuochi.
La fabbrica dei gelati Unilever è un’oasi
La crisi economica sembra non aver neanche lambito i suoi confini. I giornali raccontano di multinazionali in fuga dall’Italia, figurarsi dal Mezzogiorno. Ma Angelo Trocchia, amministratore delegato di Unilever Italia, un colosso presente in cento paesi, con 171mila dipendenti e 50 miliardi di fatturato, sorride e scuote la testa: “Dobbiamo smettere di parlare di questa crisi. Nel Sud si può fare imprese e guadagnare bene”.
E il contesto, l’inquinamento, la camorra? “Fino a quando da Caivano escono fuori prodotti come il Caffèzero non abbiamo paura di nulla. Questo è un polo di eccellenza a livello mondiale”.
Un sogno? Una fiaba?
Il direttore del personale di Unilever in Italia, Grecia e Portogallo è una signora di 39 anni. Nella fabbrica napoletana ha creato un centro estivo per i figli dei dipendenti. “In estate c’è il picco della produzione, l’esperimento è piaciuto e lo abbiamo replicato”, racconta. La responsabile produttiva ha meno di 35 anni. Ma, in generale, il management è under 40 e, per lo più, meridionale. Il centro decisionale è altrove ma la selezione viene fatta qui, nelle università.
E i giovani crescono nel gruppo per poi, magari, fare esperienza all’estero e, quindi, tornare in sede.
Ma la fabbrica dei gelati, che ogni anno produce un miliardo di pezzi e dà lavoro a 900 persone, ha anche un altro segreto: non sporca, ricicla tutto, perfino le confezioni dei prodotti di scarto. C’è un apposito impianti che separa la carta dai liquidi.
E tutto viene riutilizzato. “Non mandiamo neanche un etto dei nostri rifiuti in discarica”. Ovviamente, lo smaltimento avviene per lo più fuori regione, come in Umbria. Ma le ditte che portano i rifiuti sono certificate e monitorate. “Non possiamo permetterci passi falsi”. Perfino le materie prime provengono da fornitori selezionati che assicurano produzioni eco-compatibili, certificate da organismi internazionali.
Ma attenzione, in tutto questo, non c’è alcun progetto filantropico. Anzi. “Dobbiamo rispondere ai nostri azionisti e tutte queste azioni devono essere sostenibili anche da punto di vista economico”, spiega Trocchia. Un esempio? Il treno verde che, dalla scorsa settimana, porta i gelati prodotti a Caivano da Marcianise all’hub di Parma. Toglie dalla strada circa 3500 camion, consente di ridurre l’inquinamento di Co2 per una quantità equivalente a 260mila alberi ma, nello stesso tempo, farà risparmiare all’azienda circa 500mila euro all’anno per le spese di trasporto.
Caivano, provincia industriale ai confini della Terra dei Fuochi. La fabbrica dei gelati è il simbolo, il segno di una normalità che non è solo un’utopia.
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