Alla fine la scelta è caduta su Gioia Tauro. Sarà lo scalo calabrese ad ospitare, entro metà febbraio, le fasi di trasbordo delle armi chimiche siriane dal cargo danese, che sta aspettando di caricarle al largo di Latakia, alla nave Usa Cape Ray che poi le distruggerà in mare aperto.
E mentre tirano un sospiro di sollievo tutte le altre località indicate finora da indiscrezioni di stampa, monta la protesta della Piana: “Stiamo valutando di emettere un’ordinanza per chiudere il porto“, minaccia il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi, mentre quello di Gioia Tauro, Renato Bellofiore, teme per la sua vita: “Se succede qualcosa mi vengono a prendere con i forconi…“. E il presidente della Calabria lancia l’allarme: “Così facendo si rischia di portare alla guerra civile un territorio“. “Letta e Bonino hanno grandi responsabilità su quanto sta accadendo oggi nella nostra terra: prima di qualsiasi assenso – denuncia – avrebbero dovuto coinvolgere le istituzioni locali“.
Il governo dal canto suo sottolinea l’importanza dell’operazione e tenta di rassicurare le amministrazioni e la popolazione locale: “L’operazione sarà svolta secondo i più alti standard di sicurezza e di tutela dell’ambiente“, si legge in una nota di Palazzo Chigi, che rimarca come si tratti di “un contributo concreto e imprescindibile a garanzia della stabilità e della sicurezza nella regione mediterranea e mediorientale” e che risponde a una risoluzione dell’Onu. La scelta del porto e le fasi dell’operazione (“la più importante operazione di disarmo degli ultimi dieci anni“, l’ha definita il ministro degli Esteri Emma Bonino) sono stati spiegati oggi in Parlamento in un’audizione del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi e della stessa titolare della Farnesina, e del direttore generale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Ahmet Uzumcu, venuto di persona per “ringraziare l’Italia del generoso contributo” e fornire dettagli tecnici in grado di far superare i timori. Gioia Tauro è stata scelta perché è “un’eccellenza italiana“, un porto “specializzato in questo tipo di attività“, ha detto Lupi, sottolineando che nel 2012-2013 lo scalo calabrese ha trattato 3000 container di sostanze chimiche, pari a 60 mila tonnellate, mentre quelle che arriveranno dalla Siria saranno solo 570 tonnellate in 60 container, “imballati e sigillati secondo standard internazionali di sicurezza“.
I due ministri hanno quindi ribadito che il carico di armi chimiche non toccherà suolo italiano: il trasbordo avverrà “da nave a nave” e senza bisogno di stoccare i container a terra. Sarà “un’operazione singola” che “non si ripeterà“, ha assicurato dal canto suo Uzumcu. Nessuna sostanza tossica sarà gettata in mare, ha inoltre spiegato ai parlamentari che chiedevano di “voci” in tal senso: “E’ proibito dalla Convenzione sulle armi chimiche e ispettori Opac saranno a bordo della Cape Ray per tutto il tempo delle operazioni” di distruzione che dureranno “due mesi“.
Per rispondere alle accuse di aver preso una decisione “calata dall’alto“, Bonino ha chiarito che la scelta di Gioia Tauro è stata fatta consultando i ministri di Difesa, Interni, Infrastrutture, oltre all’Istituto per la protezione dell’ambiente, la Guardia costiera e le Dogane. “Il porto non chiuderà“, ha quindi replicato Lupi al sindaco di San Ferdinando, invitandolo ad essere “orgoglioso” della scelta fatta, perché Gioia Tauro svolge “operazioni analoghe tutto l’anno” con agenti chimici dello stesso tipo di quelli in arrivo. “Ognuno fa il suo mestiere. Domani prenderemo contatti con esperti in Diritto della navigazione e vedremo“, ha risposto ancora Madafferi. Rassicurazioni sono arrivate intanto anche dalla Contship, società concessionaria del terminal container di Gioia Tauro: “Non conosciamo ancora i dettagli dell’operazione, ma possiamo garantire che sarà svolta sulla base dei massimi requisiti di sicurezza“, riferisce la società invitando “tutti alla calma“. Ma i lavoratori portuali minacciano: “Quei container noi non li tocchiamo. Chiamassero i militari”.