Uno spirito libero, sempre un passo avanti rispetto al suo tempo e con due occhi straordinari. Occhi capaci di carpire la bellezza come pochi altri.
Era questo e tanto altro Topazia Alliata di Salaparuta, pittrice e gallerista palermitana, scomparsa nel novembre del 2015 a ben 102 anni. La sua memoria rivivrà però da oggi, a Palazzo Sant’Elia, nel capoluogo siciliano, attraverso un’esposizione che sarà visitabile fino all’11 gennaio 2017. L’inaugurazione si terrà alle 18.30 di questo pomeriggio, venerdì 11 novembre.
Una donna eclettica, anticonformista e dal carattere forte. Una viaggiatrice che, nonostante i suoi tanti impegni, ha dato alla luce insieme con il marito Fosco Maraini tre figlie, Yuki, Toni e Dacia, scrittrice di fama indiscussa. Sarà proprio lei, in compagnia del sindaco Leoluca Orlando, a inaugurare questo pomeriggio la mostra. Nelle sue opere tutto il fascino, il suo gusto deciso e la sua passione per i viaggi. Pur legata alla nobiltà europea, curatrice di mostre internazionali, è sempre rimasta avvinta alla Sicilia, fino alla sua morte. Si tratta della prima retrospettiva a lei dedicata, voluta dalle figlie Dacia e Toni Maraini e dalla nipote Gioia Manili – la racconta attraverso fotografie, disegni, lettere e alcune tra le sue tele più interessanti, al fianco di opere di suoi amici e colleghi: da Guttuso a Pupino Samonà.
“Topazia Alliata. Una vita per l’arte” vede la curatela del critico d’arte Anna Maria Ruta, grande esperta del ‘900 e studiosa del Futurismo, che sei anni fa per l’editore Kalòs ha pubblicato la prima biografia dell’artista e gallerista. Organizzata dalla Fondazione Sant’Elia (ente della neonata Città metropolitana presieduta dal sindaco Leoluca Orlando) in collaborazione con l’associazione Lo Stato dell’Arte, la mostra ha il patrocinio del Comune di Palermo.
A Palazzo Sant’Elia, l’obiettivo della Ruta mette a fuoco la figura della nobile aristocratica anticonformista, cresciuta in una famiglia di artisti (le zie pittrici Felicita ed Amalia Alliata, ma anche Quintino di Napoli); ne ripercorre la vicenda umana, i rapporti, le amicizie, la capacità artistica. Il racconto è scandito da otto sezioni tematiche che, partendo dalla storia della famiglia Alliata, toccano gli anni in cui frequentò l’Accademia di Belle Arti, i maestri, i giovani colleghi; il rapporto e il matrimonio con l’etnologo e fotografo Fosco Maraini, il trasferimento in Giappone durante la seconda guerra mondiale e la sofferta parentesi vissuta da tutta la famiglia in un campo di concentramento nel paese del Sol Levante; il ritorno in Sicilia e l’avventura da imprenditrice alla guida della Vini Corvo; gli anni ’50, gli intellettuali e gli amici artisti; la nascita della Galleria d’arte a Trastevere e i rapporti con artisti e collezionisti internazionali. Ciascuna delle sezioni ospita opere appartenenti agli eredi di Topazia Alliata o in prestito da istituzioni e collezionisti privati.
La mostra sarà un excursus storico-artistico sulla creatività della famiglia Alliata, sui maestri – Pippo Rizzo, Archimede Campini, Ettore De Maria Bergler, Mario Mirabella; sui colleghi d’Accademia – Renato Guttuso, Nino Franchina, Ezio Buscio, Piera Lombardo, Lia Pasqualino Noto, Giovanni Rosone; sugli artisti ospitati da Topazia e lanciati dalla Galleria Trastevere. Un frammento è dedicato agli anni giapponesi: «Seguii Fosco fino alla fine del mondo» scrive Topazia parlando del suo soggiorno in Giappone concluso poi nel campo di concentramento. Le firme raccontano un secolo di arte italiana: dagli Alliata, a Quintino Di Napoli, Renato Guttuso, Ettore de Maria Bergler, Lia Pasqualino Noto, Pina Calì, Archimede Campini, Pippo Rizzo, Mario Mirabella, Nino Franchina, Elisa Maria Boglino, Nino Garajo, Piera Lombardo, Michele Dixit, il soprano e pittrice Ester Mazzoleni Cavarretta, Daniele Schmiedt, Corrado Cagli, Ezio Buscio, Giovanni Rosone ed altri.
Le opere di Topazia Alliata non sono moltissime, ma mostrano una mano sicura, attenta, influenzata dalle correnti artistiche del suo tempo. «Non so perché mia madre abbia smesso di dipingere – scrive Dacia Maraini – Probabilmente non aveva abbastanza fiducia nel suo lavoro. Come tante donne, portava in sé la memoria atavica della sfiducia istituzionale».