A poco meno di un mese dalla fine dell’ultimo anno di questo prime decennio del nuovo secolo, dobbiamo tirare le somme su quello che sta accadendo nella musica italiana nel nostro Paese. In Italia, un Paese di santi, navigatori e poeti, è ancora difficile avere l’opportunità di sentire le nuove leve della musica italiana se non per poche isole felici tra festival e salotti culturali in giro per l’Italia.
Per spazio cosa si intende? Si intende quella possibilità di eventi culturali che possano abbracciare una popolazione, culturalmente arretrata, verso la conoscenza di nuove realtà..
Per musica italiana non intendo quella musica che ascoltiamo nelle radio quella passata dai network ma quel 90% se non 95% della musica fatta da giovani speranze della panorama indipendente italiano che si autoproduce e che è etichettata come “indipendente” (attenzione non “indie”).
In sei mesi, ho voluto sperimentare sulla mia pelle la ricerca di date e quindi di live per artisti e band che hanno voglia di presentare le loro creature artistiche nei locali,nei pub e in centri culturali italiani.
Il risultato è stato demoralizzante. Demoralizzante perché su quasi 900 realtà contattate sia via email e telefonicamente, solo il 10% era realmente interessata a portare musica italiana indipendente rischiando con le proprie tasche.
Ovviamente è lecito che le attività autonome come locali, pub e centri culturali, non possano rischiare più del dovuto visto l’enorme mole di tassazione che lo Stato impone agli esercizi commerciali, ma resta comunque un risultato sconfortante per tutti quei ragazzi che si avvicinano e si approcciano nel condividere le proprie opere artistiche e che non hanno fattivamente la possibilità di presentarle a quella parte di pubblico che è alla continua ricerca di nuova musica italiana.
Ma torniamo al discorso del cercare la possibilità di fare un concerto dal vivo. Realtà che possano essere interessate a creare eventi culturali oltre ad avere delle grandi difficoltà economiche nel fare rischio di impresa e portare quindi eventi culturali e band artisti che non siano conosciuti dal grande pubblico, una parte anche se non maggioritaria di queste realtà, ha leggermente modificato quell’approccio che molti “indipendenti” conoscono e di cui era famosa l’Italia fino a qualche anno fa del “quanta gente mi porti?”.
Nel periodo storico che viviamo e soprattutto in questo 2019, quello che è più imbarazzante è che per creare eventi live quindi concerti o comunque presentazioni di album e singoli da parte di artisti indipendenti ci sia come riferimento il numero e non la qualità: i numeri su Spotify e Youtube fanno molto di più dei testi dei nuovi De Andrè, Gianmaria Testa & co.
Alcune delle realtà italiane che fanno eventi live prendono come riferimento gli ascolti su Spotify o le visualizzazioni su YouTube che, ovviamente devono essere importanti.
Peccato che sia facilissimo gonfiare letteralmente i numeri su alcune piattaforme digitali dove siamo abituati ad ascoltare musica.
Questa assurda concezione nell’approcciarsi all’impresa culturale (perché fare attività culturale, in Italia, è un’impresa) prendendo come riferimento i numeri e non la qualità ha riferimenti geopolitici molto importanti: l’Italia è un Paese filoamericano.
Siamo un Paese filoamericano anche nella musica. Si, perché l’industria discografica è stata inventata proprio dagli Stati Uniti d’America e questo continua ad influenzare la vita della musica italiana.
Dobbiamo ricordare sempre che la musica italiana è quella che ha dato grande risalto al nostro Paese nei decenni passati ed invece, adesso, si pensa soltanto alla quantità di visualizzazioni e di ascolti sui Digital store e Digital streaming invece di cercare la qualità su queste piattaforme, pensando che un numero sostanzioso su queste piattaforme sia segnale di qualità artistica.
Ecco perché ho voluto intitolare questo articolo “La musica del 2019: un anno orribile per la musica italiana.”
Non ci resta che sperare che i Governi sappiano gestire il nostro Paese e pensino molto di più alla cultura come possibilità di lavoro e futuro invece di investire in industrie del consumismo, in modo che si possa dare l’opportunità a giovani artisti italiani in una nuova stagione artistica, con tutte le potenzialità di creare i degni eredi di chi ha fatto la storia del mondo della musica italiana.