Presentato fuori concorso alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia, “Con il fiato sospeso”, film-documentario della regista siciliana Costanza Quatriglio sbarca anche in televisione, su Rai3. Si tratta della coraggiosa storia di Stella, studentessa di farmacia all’Università di Catania. Quando è l’ora della tesi viene inserita in un gruppo di ricerca. Pian piano capisce che nei laboratori di chimica qualcosa non va. L’ambiente è insalubre, qualcuno comincia ad ammalarsi, i professori parlano di coincidenze. L’amica Anna, che ha lasciato gli studi per suonare in un gruppo indie-punk, vorrebbe che Stella smettesse di lavorare in quei laboratori; Stella, al contrario, non vuole rinunciare al suo sogno.
Vincitore del premio “Gillo Pontecorvo – Arcobaleno Latino”, il film è il frutto di una lunga ricerca che mette in luce l’obsolescenza di alcune strutture universitarie, oltre all’amara constatazione della ricattabilità in cui spesso vivono gli studenti universitari. Tra i protagonisti Alba Rohrwacher e Michele Riondino.
“Nel cinema – afferma Costanza Quatriglio, parlando del suo lavoro – esiste una soglia oltre la quale la differenza tra generi, dispositivi della narrazione, messa in scena e la rappresentazione del reale si dissolvono nella costruzione di un’esperienza che rende lo spettatore parte integrante del film”. “Esiste inoltre una soglia oltre la quale un film perde la sua libertà per essere parte di un sistema di valori, accettato e riconosciuto. Infine esiste una soglia ogni qual volta si è al cospetto dell’intimità di un personaggio, delle sue debolezze, delle sue ossessioni o del suo dolore. Ho realizzato il film come un funambolo che cammina su queste soglie, con l’eccitazione di potercela fare, di poter dominare questa materia difficile. La storia dei giovani che studiano in laboratori di chimica insalubri e dannosi – continua la regista- ci racconta di come l’Italia sia un paese senescente, che negli anni ha dato prova di essere incapace di progettare il futuro. Qui non sono le fabbriche inquinanti a essere messe in discussione. In questa storia non ci sono padroni ma padri. È forse questo il grande tabù che ha fatto sì che realizzassi il film senza mezzi economici. Per quattro anni i produttori che ho incontrato non hanno voluto raccontare questa storia né accettare una scommessa tutta giocata sul linguaggio del cinema, sullo sconfinamento tra i generi, tra le definizioni, sulla libertà. È dall’entusiasmo mai sopito dei miei collaboratori, degli attori, che ho tratto la forza per fare il film. Tutti insieme lo abbiamo realizzato in pochissimo tempo e senza soldi. Ecco, bastava farlo. Ora il film ha un produttore, un distributore, avrà un pubblico. In fondo in questi quattro anni ho solo cercato di non farmi contagiare dalla paura. Il nostro lavoro a volte – conclude – lo facciamo così: con il fiato sospeso”.
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