Resto al Sud è in grado di mostrarvi un documento, un documento firmato dai capi reparto dell’Ilva di Taranto.
Una lettera inviata al presidente Bruno Ferrante, all’ad Enrico Bondi (entrambi dimissionari) e al direttore dello stabilimento di Taranto, Antonio Lupoli.
Una lettera dove i capi reparto annunciano che hanno deciso di abbandonare gli incarichi del colosso siderurgico italiano: «Noi non ce la sentiamo di andare avanti così. Noi non vogliamo commettere reati, non vogliamo fare del male a nessuno, non vogliamo infrangere le leggi. Evidentemente le nostre valutazioni tecniche sono diverse da quelle di chi ci giudica e noi non ci sentiamo tutelati, in nessun modo e da nessuno» scrivono.
«Quindi – prosegue la lettera – da tecnici, da ingegneri, da capi, da dirigenti, comunichiamo la volontà di dimetterci dai nostri incarichi rimanendo, con spirito di servizio, a disposizione di chiunque verrà indicato per la messa in sicurezza degli impianti fino al loro spegnimento come conseguenza delle disposizioni del decreto»
Il passo indietro dei capi dell’Ilva è legato a quanto il gip Todisco scrive a pagina 13 dell’ordinanza con cui venerdì scorso ha disposto il sequestro miliardario a carico dei beni della Riva Fire.
Nel provvedimento, infatti, il gip sostiene che «legali rappresentanti, gestori e datori di lavoro, unitamente ai dirigenti, capi area, responsabili dell’esercizio dello stabilimento Ilva di Taranto, nell’espletamento degli adempimenti previsti dalle norme vigenti in materia di tutela ambientale, di prevenzione degli incidenti rilevanti e di igiene e sicurezza sul lavoro, agendo nell’interesse delle medesime società, cagionavano danni ambientali, anche associandosi tra loro». Tutto questo, sottolinea il gip, «non provvedendo all’attuazione delle necessarie misure di sicurezza, prevenzione e protezione dell’ambiente, interventi prudenzialmente quantificati in 8.100.000.000 euro quale importo necessario per effettuare tutte le opere di risanamento ambientale dello stabilimento siderurgico».
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