Questa sera andrà in onda un’altra ed entusiasmante puntata della seconda stagione di “Una pallottola nel cuore” che, oltre che avere uno strepitoso Gigi Proietti, vedrà tra i protagonisti una bravissima Daniela Piazza. In quest’occasione, oltre che chiederle qualcosa su Giovanna, il suo personaggio nella serie tv di Rai1, ho cercato di ripercorrere quelle che, secondo me, sono state le tappe principali della sua carriera. L’abbiamo vista nei ruoli più diversi dando prova di un’eccellente bravura, ma quello che colpisce di Daniela è la straordinaria dolcezza con la quale si racconta.
E’ una donna che ha imparato ad accettare i propri limiti e i propri difetti, una donna felice che ama ed è grata alla vita per tutti i regali che le ha fatto e anche per tutte le difficoltà che è riuscita a superare. Nel corso degli anni, ha compreso quanto sia importante vivere ciò che ci presenta la vita, dobbiamo assaporare ogni cosa, nel bene o nel male, anche quando le cose non vanno sempre per il verso giusto, la vita è un dono sempre e comunque.
Com’è nata la passione per la recitazione?
È nato tutto dalla passione per la danza; il mio desiderio era di essere una ballerina ma ho iniziato a studiare troppo tardi e sono passata dal palcoscenico della danza alla recitazione. Diventare qualcun altro, mettere le mie paure, il mio entusiasmo, i miei dubbi nella pelle di un altro essere umano, reagire come non avrei fatto io o come non mi sarei permessa di reagire nella vita reale e farlo senza bisogno di una giustificazione, in un certo senso, mi ha salvato la vita. Questo lavoro si fa per un’esigenza, non è quasi mai una scelta.
Da martedì 5 aprile ti vediamo nella seconda stagione de “Una pallottola nel cuore”. Per quali motivi hai detto sì a questa fiction?
È stato facile dire sì a questa fiction. Nella prima serie, mi sono innamorata subito di Giovanna, il mio personaggio, il suo coraggio nel mettere in mostra le sue fragilità non mi appartiene e anche per questo le ho voluto bene subito. Ci sono personaggi a volte che si scelgono perché sono diversi da noi e il nostro interesse verso di loro è prima celebrale. Per esempio, un eroe negativo, un “cattivo”, è un personaggio divertente e stimolante da affrontare ma a volte si può fare fatica ad entrare nei suoi panni senza giudicarli. Ecco, per me con Giovanna è stato tutto il contrario. E’ stato facilissimo provare affetto e desiderare fortemente di essere lei. Credo che questo desiderio e il piacere anche solo di studiarla e stare un po’ con lei, mi abbia fatto vincere il provino.
Affianchi, tra i molti attori, anche Gigi Proietti. Cosa vuol dire per un’attrice essere al fianco di un mostro della recitazione come lui?
Quando si lavora accanto ad un attore bravo, è tutto più semplice, si fa meno fatica a ricreare una naturalezza e una credibilità fondamentali in scena. Nel mio lavoro si è anche un po’ degli specchi e quando ci si specchia in un attore con la sensibilità, l’esperienza e il talento di Gigi Proietti, è come indossare un abito fatto su misura, tutto il lavoro fatto nella preparazione del personaggio torna al suo posto con grande facilità ed equilibrio.
Mi accomuna il suo amore per l’arte, il suo lottare senza violenza per riuscire a fare il suo lavoro, il suo desiderio di voler avere dei figli, il suo senso della famiglia. Sicuramente le sue ansie e le sue piccole nevrosi sono molto lontane dal mio modo di vivere, ma proprio questo suo modo quasi infantile di affrontare la vita mi ha sempre fatto una profonda tenerezza.
Tra le tue prime esperienze televisive c’è “La classe non è acqua”. Quali ricordi hai?
“La classe non è acqua” è un film per il cinema che ho girato quasi 20 anni fa. Ero, insieme ad un gruppo di attori, una studentessa di un liceo romano e la regia era di Cecilia Calvi. Questa domanda è curiosa perché ho conosciuto, proprio su quel set, Luca Manfredi, il regista di “Una pallottola nel cuore”, che in quel caso era lo sceneggiatore del film insieme alla regista. E tra gli attori c’era anche Claudio Pallottini che è nella redazione di “Una pallottola nel cuore”, Pietro De Silva e Paolo De Vita che ci sono nella prima serie e Cecilia Dazzi che è nella seconda serie. De “La classe non è acqua” ricordo le giornate intere passate dentro al liceo Mamiani, il caldo dei maglioni di lana indossati d’estate, il gruppo di ragazzi, tra cui Valerio Mastandrea, Edoardo Leo e Lelle Vannoli, con cui sembrava veramente di essere in gita scolastica a Roma ad agosto. Ricordo l’esperienza di entrare nel carcere di Rebibbia per girare delle scene, il rumore dell’enorme cancello che si apriva lentamente davanti ai nostri occhi e si chiudeva rumorosamente dietro le nostre spalle. Tanta vita e tanta esperienza lavorativa concentrata in un solo set.
Un ruolo che è ben impresso nei nostri cuori è quello di Suor Marie in “Incantesimo”. Cosa ci racconti di quel personaggio e di quella serie tv che ha tenuto incollati milioni di telespettatori?
Suor Marie è stato il primo personaggio che ho interpretato a cui si è affezionato il grande pubblico. Ancora oggi qualcuno riconosce lei in me, e pensare che sono passati tanti anni e “Incantesimo” è ancora così vivo nella memoria delle persone. Anche lei, una semplice suora, spogliata degli orpelli di altri personaggi, senza trucco e con indosso sempre gli stessi abiti, è stato un personaggio che ho amato a prima vista, molto lontano da me, sia nella fisicità che nelle sue esperienze di vita. Con lei ho partecipato a tre stagioni di Incantesimo, che per me sono state una grande scuola di set televisivo.
Il grande successo arriva prima con “L’ultimo bacio” e poi con “Baciami ancora”, diretta da Gabriele Muccino. Che tipo di regista è Gabriele? Come ti sei trovata anni dopo a girare il sequel? E dei tuoi eccellenti colleghi cosa ci dici?
Gabriele è una persona fantastica, esistono pochi registi come lui che amano gli attori e questo si vede profondamente nei suoi film. Il modo in cui lui ti dirige, come guarda il personaggio muoversi, parlare, pensare sul set, è intenso e intimo. A volte è come se volesse fisicamente entrare nella tua pancia e tirare fuori l’anima del personaggio. Quando sono sul set con lui, mi fido ciecamente dei suoi occhi, mi sento sempre tranquilla, serena che tutto andrà bene e questa sensazione nel mio lavoro è rara. Gli altri attori de “L’ultimo bacio” e di “Baciami ancora” sono tutti, veramente tutti, degli interpreti incredibili e delle persone straordinarie. È stato bello lavorare insieme a distanza di quasi dieci anni, ritrovarsi uguali e allo stesso tempo diversi.
“Baciami ancora” è stato un regalo, una bellissima sorpresa. Avevo conosciuto Gabriele Muccino in una serie di cortometraggi che ho fatto per il ministero della salute e con la sua regia, tanti anni fa. Gabriele stava scrivendo in quel periodo “L’ultimo bacio” e mi chiese di partecipare con il piccolo ruolo di Veronica. E poi, quasi 10 anni dopo, mi è arrivata a casa la sceneggiatura di “Baciami ancora” senza sapere nulla di quello che stavo per leggere. Non mi dimenticherò mai la sensazione di gioia e stupore che ho provato leggendo quelle pagine miste ai sentimenti forti che viveva il personaggio di Veronica, bastava anche solo leggere quelle scene per capirla, vederla davanti i miei occhi e guardare il mondo con i suoi occhi. I personaggi difficili da interpretare sono quelli scritti male, i personaggi come Veronica sono complessi proprio perché sono scritti con strati e strati di vita vera; per questo, il lavoro di sovrapporre la propria vita alla loro è meno complicato di quanto si possa pensare.
Cosa vorresti arrivasse al pubblico del tuo personaggio de “La pallottola nel cuore” e, più in generale, della fiction?
Mi piacerebbe che le persone la capissero, provare empatia per un personaggio, fare in modo che lo spettatore si immedesimi in lei, d’altro canto è sempre il desiderio che mi spinge nel lavoro. Ritrovare delle somiglianze, accettare anche le differenze con un altro essere umano, anche se fittizio, può portare ad accettare gli altri e anche noi stessi, i nostri difetti e le nostre debolezze.
Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Posso chiederti che rapporto hai con il Sud e cosa rappresenta per te?
Il sud per me rappresenta la famiglia, gli affetti. Io sono nata a Caserta, non ci ho mai vissuto ma i miei genitori hanno ancora la casa di famiglia in un paesino vicino a quella città. Nel sud del mondo mi sento sempre a casa, ovunque io vada. Sono stata anche adottata dal Salento, mio marito è di Galatina, in provincia di Lecce, le nostre vacanze le passiamo sempre lì; la Puglia è un luogo con delle radici profonde, come si fa a non amarla? L’accoglienza e la generosità dei sentimenti dei popoli del Sud hanno un calore speciale che si riconosce in tutto il mondo. Anche la Danimarca, la terra di mia madre, non a caso è considerata il “sud” dei paesi scandinavi e credo proprio che sia così.
E la Danimarca?
La Danimarca ha un posto speciale nel mio cuore, la cerco nel profumo del caffè la mattina, in quello del prato appena tagliato, nel rosso del tramonto d’estate sul mare. Mia madre è danese, mio padre invece è italiano, io ho la doppia nazionalità, metà della mia famiglia è in Danimarca. I miei amici italiani al liceo mi chiamavano “danish”, quelli danesi mi chiamavano “italienske pie”, “la ragazza italiana”. Insomma ovunque andassi ero qualcos’altro, qualcosa di diverso da quello che ero veramente. La verità è che io sono un groviglio di entrambe le identità.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Non mi piace molto parlare dei progetti futuri, a meno che non siano nell’immediato futuro ma nella mia professione si lavora una vita per raccogliere i frutti con il tempo e in dei momenti brevissimi. Diciamo che sono a lavoro su un progetto a me molto caro e non so ancora quando ne raccoglierò i frutti. Non è perché, come molti miei colleghi, sono scaramantica ma preferisco parlare solo dell’immediato futuro e delle esperienze passate e in questo momento per me il futuro sono le prossime puntate di “Una pallottola nel cuore 2”, un progetto che, anche se nella seconda serie il mio personaggio è meno presente rispetto alla prima serie, sono felice di sostenere perché se lo merita veramente.